Tra le tante botteghe che si possono visitare all’interno degli scavi di Pompei, i panifici testimoniano una attività fondamentale per l’alimentazione dell’antica cittadinanza, dai più ricchi ai plebei. I panifici vengono raccontati anche nelle pareti affrescate e nei resti carbonizzati della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio. Diverse erano le farine utilizzate, costose e pregiate, bianche e più raffinate, destinate alla produzione di pane per le famiglie patrizie, mentre le farine di scarto erano per i plebei.
Rivive il pane dell’antichità grazie allo chef del President di Pompei, Paolo Gramaglia, che si ispira all’antica tradizione culinaria per rivisitare la cucina campana. “Una delle prime cose che giungono sulla tavola storicamente parlando è proprio il pane e il vino – spiega lo chef Gramaglia che in occasione dell’apertura della vendemmia a Pompei ha arricchito l’appuntamento con alcuni ottimi pani – due pani rappresentano il momento della vendemmia, l’atipatus un pane molto ricco di grasso e il pane artalaganus impastato proprio con il vino, i canditi, erbe aromatiche, uva passa e miele. Se pensiamo ai nostri pani attuali, un pane grasso è ad esempio il casatiello napoletano ma se assaggiamo quello dolce e pensiamo ad un momento dolce, ritroviamo lo stesso sapore nei panettoni di una volta, genuini e semplici. Il successo della gastronomia è nella tradizione”.
Differenti erano i pani, gli impasti e le cotture, vi era il pane furfureus realizzato con la crusca e destinato a cani e schiavi, il pane bucellatus, biscottato che prevedeva la cottura seguita da una ‘asciugatura’ in forno caldo, addirittura un pane integrale il secundarius. La forma – che si può ancora oggi ammirare nelle vetrine del Museo Archeologico Nazionale di Napoli o l’Antiquarium di Boscoreale – è tonda divisa in otto spicchi facilmente divisibili con le mani e comuni erano anche le focacce condite con olio e rosmarino o con olio e olive, così come varie erano anche le varietà di cottura.
Riprese e video di Chiara Gargiulo