“Un saggio storico che si legge con il ritmo di un romanzo”, così lo scrittore Gianrico Carofiglio definisce “L’Anello di Zinco”, scritto da Mauro Mercuri ed illustrato dal maestro Lele Vianello, edito dalla casa editrice Segni d’Autore.
L’autore, che abbiamo incontrato in occasione del recente LuccaComics&Games, ripercorre fin dagli inizi le fasi che portarono alla nascita del brigantaggio postunitario, strumento prezioso per conoscere e approfondire una parte importante della nostra storia sociale e politica.
La Segni d’Autore non è nuova a questi temi, già nel 2014 aveva dato alle stampe un libro a fumetti dal titolo “La Coccarda Rossa 1861”. Ora arriva il secondo titolo di questa mini collana.
Perché un saggio sul brigantaggio, qual’è l’obiettivo nel voler affrontare questo argomento?
“Per molti anni i veri aspetti sociali ed economici del nostro Paese, sono stati troppo spesso ignorati dalla storiografia ufficiale. Si è sempre parlato di un Sud arretrato e povero, quando in realtà era l’esatto contrario – spiega Mercuri. Le popolazioni meridionali avvertirono da subito quel disagio che si era creato dopo l’unificazione, che prima li costrinse a prendere le armi contro uno stato oppressore e poi ad emigrare. Non si è voluto comprendere le loro vere motivazioni, per “carità di patria”, come disse Molfese, circoscrivendo il fenomeno del brigantaggio postunitario ad una semplice forma di criminalità”.
Come nasce la sua passione per questo tema?
“Lo spiego nel 1 capitolo del libro. Avevo letto molti libri dell’Unità e in particolare sul brigantaggio postunitario, ma mi mancava qualcosa, sentivo che un tassello, o forse più di uno, mi mancava per concludere quel mosaico storiografico che stava lì nella mia mente. Stava lì da anni, forse da sempre, di sicuro da quando nei primi giorni di scuola media, sfogliando il testo di storia, vidi quelle foto. Come è noto a chi studia comunicazione, un’immagine può funzionare più di mille parole”.
E funzionò?
“Voltando lentamente le pagine, con lo scopo di farmi un’idea di cosa avrei studiato nella nuova scuola, ricordo di essermi soffermato su alcune foto. Erano immagini forti, in bianco e nero, che ritraevano uomini dalle facce mostruose, con occhi spalancati, con delle barbe lunghe come quelle che vediamo oggi ai talebani e che alla sola vista possono incutere terrore. Al loro fianco c’erano dei bei soldati che con le loro divise in ordine, posavano accanto con in mano il fucile”.
Chi mai saranno stati questi uomini così brutti e malconci?
“La didascalia non lasciava dubbi: Briganti. Leggendo quel paragrafo del libro, venni a conoscenza che il Sud un tempo era stato infestato dai briganti, esseri malvagi che rubavano, rapivano e uccidevano la povera gente. Ma lo Stato italiano, grazie all’impiego dell’esercito, riuscì in pochi anni a sconfiggere. Proseguendo con gli studi appresi che si trattava di un atavico problema ereditato dai Borbone, quei tiranni “stranieri” che tenevano sotto il loro giogo tutto il Meridione e che sempre i soldati italiani riuscirono a cacciare. Un ragazzino che studia la storia, quando legge di italiani che scacciarono uno straniero dalla nostra penisola, non può che rallegrarsene, anche se è un ragazzino di origini meridionali. Egli non sa che lo “straniero” cacciato era napoletano da generazioni e che il territorio conquistato dai soldati era la nazione dei suoi avi, ma soprattutto non conosce le modalità di quelle vicende e le conseguenze che ne scaturirono. Vede le foto, quelle foto, e pensa che sia stato un bene che l’esercito li abbia uccisi tutti, altrimenti chissà come sarebbe potuto finire (già, chissà). La domanda che subito mi posi e che girai alla professoressa di italiano fu: “Perché questi briganti stavano solo al Sud?” – La risposta poco convinta e vaga dell’insegnante, mi innescò la curiosità e la voglia di approfondire l’argomento, quasi in modo inconscio. Ogni qualvolta mi trovavo davanti a certe tematiche, il mio livello di attenzione aumentava, riuscendo a farmi sembrare quasi uno studente modello (ho usato il quasi). E’ forse questo il motivo che mi ha spinto ad approfondire questa parte della nostra storia, perché non ci siano più ragazzini fuorviati da una storiografia ormai obsoleta, fatta di immagini e testi figli della pubblicistica savoiarda, durata ormai fin troppo”.
L’Anello di Zinco è illustrato dal maestro Lele Vianello. Come è nata l’esigenza di unire illustrazioni e racconti?
“Chiunque voglia approfondire questo argomento, si ritrova davanti come uniche immagini, sempre quelle foto macabre in bianco e nero di cui le dicevo. Spesso scattate a cadaveri messi in posa o a uomini vivi ma con le catene ai polsi. La scelta di fare un volume illustrato da un maestro del colore come Lele, è stata fatta proprio per ridare una nuova luce a quegli uomini che sono sempre stati visti come i cattivi della situazione. Ridando loro colore, è come se nel libro beneficiassero di nuova vita, di libertà, di dignità, cambiando il punto d’osservazione del lettore che potrà vederli nel loro splendore di uomini fieri della loro opera”.
Sta pensando ad un terzo libro per questo filone?
“Stiamo lavorando alla seconda ed ultima parte de La Coccarda Rossa, la cui uscita è prevista per il prossimo autunno. I tempi sono un po’ più lunghi rispetto agli altri fumetti, proprio perché trattandosi di avvenimenti storici, voglio che tutta la narrazione sia quanto più possibile attinente alla realtà”.
a cura di Raffaella Fanelli