L’Erma di Socrate del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, simbolo della libertà di pensiero, è la prima opera d’arte italiana ad essere esposta nel Palazzo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del Lussemburgo che custodisce numerosi capolavori provenienti da tutto il continente.
Il prestito della durata di 18 mesi fa parte del progetto OBVIA di disseminazione dell’immagine del Mann adottato dal direttore Paolo Giulierini e coordinato da Daniela Savy.
“Riteniamo questo prestito altamente significativo – spiega Giulierini – l’Erma di Socrate dialogherà simbolicamente con i 28 Stati membri dell’Unione Europea rappresentati dai giudici e dai funzionari che popolano il palazzo insieme alle migliaia di persone che vi si recano. L’Italia non aveva mai prestato un’opera e ci siamo con piacere attivati individuando L’Erma di Socrate, un capolavoro della collezione Farnese, proprio per il suo riferimento alla funzione giudiziaria che appare nella celebre iscrizione”.
Obvia un progetto universitario adottato del MANN che nasce da un Protocollo d’intesa tra l’Università Federico II ed il Museo Archeologico, per la promozione dell’immagine del Museo sul piano nazionale ed internazionale.
L’importanza di questa Erma è data soprattutto dalla trascrizione di un brevissimo passo del Critone di Platone. Subito dopo che Critone lo ha spronato ad accettare il piano studiato dagli amici per salvarlo dalla morte, Socrate replica al discepolo che innanzi tutto è il caso di esaminare se sia lecito fare quanto proposto “in quanto io – si legge – e non solo da oggi, ma da sempre non mi lascio persuadere se non da quel ragionamento che, secondo il mio modo di pensare, mi sembra il migliore”.
L’Erma di Socrate, in marmo bardiglio di Luni, risalente al III secolo d.C. è alta m 1,75 (alt. parte antica m. 0,79; erma. m 0,27) ed è stata recentemente restaurata (naso e parte dell’erma). L’Erma faceva parte della collezione di ritratti che l’antiquario Fulvio Orsini lasciò in eredità ai Farnese. La scultura è una copia di età imperiale derivata dalla statua pubblica, in bronzo, dedicata – secondo quanto racconta Diogene Laerzio – dagli ateniesi pentitisi della condanna inflitta al filosofo e realizzata da Lisippo alla fine del IV secolo a.C.