Nell’anno del cinquantenario dalla morte del sommo Totò, non si può scordare quello che è stato uno dei suoi più geniali sodali. “Spalla” è il termine cinematografico che s’è imposto nel linguaggio comune. Ma è riduttivo, davvero, quando si parla di Nino Taranto.
Partendo dalla dedica degli eventi estivi di Napoli, dedicati a tutte le “spalle” che ha avuto il Principe della Risata, non possiamo non menzionarlo. Nino Taranto si formò alla scuola teatrale del primo Novecento. Fu amico e interprete di Raffaele Viviani, inventò – lui che era dotato di un’eleganza innata – la macchietta di Ciccio Formaggio, quello a cui se la fidanzata gli avesse voluto bene veramente, non gli avrebbe mai fatto mille e mille dispetti. Centrò il buffo cliché del fidanzato succube e la sua interpretazione divenne nazional-popolare.
Canzoncelle così ne fece tantissime e tutte premiate dalle risate e dagli applausi del pubblico. Inevitabile che un genio come il suo finisse ad aprir strade nuove. Così sbarcò in radio, dove le sue evoluzioni, i suoi lazzi e la sua inimitabile voce ebbero un successo clamoroso.
Ma è stato in teatro e ancor di più al cinema che Nino Taranto raccolse gli allori della fama e dell’affetto del pubblico. Insieme a Totò recitò in tantissime pellicole. Memorabile l’interpretazione del “cattivo” marchese ne “Il Monaco di Monza”. Quando finge d’esser morto per incastrare Pasquale Cicciacalda e il suo fido novizio Mamozio (interpretato dal gigante piemontese Macario) si raggiungono vette di comicità quasi ineguagliate.
I ruoli si invertono in “Totò contro i Quattro”. Stavolta è l’inquisitore è proprio il principe de Curtis che, nei panni del commissario Saracino, a dover incastrare l’infedele e cacaglio Nino Taranto, furbetto funzionario di dogana Mastrillo. “Che te credivi chachèra?!?”, è il tormentone.
Ma il capolavoro, forse, è “Toto Truffa”. Nino Taranto prende il 10% sulle truffe che orchestra insieme a Totò. Fa il contrappunto al Commendatore Ufficiale che propone allo “zotico” di accettare l’impiego da contatore di piccioni. È lui che assistente all’ambasciata del Katongo che “da quando stare in Italia ha imparato a parlare napulitano, dice pure pummarola ‘ncoppa”, ricorda a tutti che “qua nisciuno è fisso”.
Totò è stato un gigante ma è stato (anche) grazie ad altri giganti, come Nino Taranto, che il cinema italiano ha raggiunto certe vette che oggi ancora rappresentano un patrimonio culturale nazionalpopolare di Napoli e d’Italia.