Il cacaglio, la ciaciona e l’incontro con il Principe della Risata
Insieme, per sessantatré anni, sulle tavole dei teatri, sul set e nella vita. Pietro De Vico e Anna Campori, il cacaglio e la ciaciona, intrecciarono i loro destini artistici e poi li incrociarono con quelli di Totò.
De Vico nasce a Napoli nel 1911, figlio d’arte. A sei anni è già sul palcoscenico. Interpreta a teatro il piccolo Peppiniello in “Miseria e Nobiltà” di Eduardo Scarpetta. Segue la strada di molti attori partenopei. Incontra Eduardo De Filippo, nel 1962, che lo ingaggia per fargli indossare la maschera di Nennillo in Natale in Casa Cupiello. Erano dieci anni, da quando s’era “lasciato” con il fratello Peppino, che Eduardo non voleva più mettere in scena una delle sue commedie più famose e apprezzate. Dal teatro al cinema, il passo non è troppo lungo.
Incontra Totò già nel 1950, interpreta il ruolo di legionario in Totò Sceicco. Il sodalizio, però, si consolida più in là. Con il Principe della Risata, De Vico recita in altri quattro film. I suoi sono ruoli brevi, quasi dei camei. Eppure si raggiungono vette di comicità altissime. In “Totòtruffa ‘62”, De Vico è lo zotico mandato a contare i piccioni a Venezia da Totò e Nino Taranto. La sua è una macchietta a metà tra il Pappagone di Peppino De Filippo e i personaggi scomposti e ridanciani di Jerry Lewis. L’ultima collaborazione è nel ’64, in “Che fine ha fatto Totò Baby?” dove interpreta il fratello disabile e terrorizzato dalla follia omicida del Principe.
Caratteristica del suo personaggio è la balbuzie, il difetto di pronuncia che lo rende irresistibile. Proprio nelle vesti del cacaglio troverà la fama quando, per la televisione, interpreterà Nicolino, il nostromo balbuziente al servizio della fortissima Giovanna, la nonna del Corsaro Nero.
Nei panni di Giovanna, vestita di seta e velluto, c’era Anna Campori che De Vico lo conosceva tanto bene che se l’era sposato. Lei, romana di formazione classica, aveva esordito come canzonettista. Era la “moglie” preferita di Totò che la ebbe accanto a sé ne “I Tartassati” (con Aldo Fabrizi) e in “Chi si ferma è perduto” (dove interpretava la signora Guardalavecchia), e ne “Gli Onorevoli” (qui era la moglie del celeberrimo Antonio La Trippa). Però con Totò aveva già recitato in un must del cinema italiano. Era stata la provocante e astuta servetta Concettina ne “Il Turco Napoletano”.
Anna Campori, scomparsa il 20 gennaio 2018 dopo aver festeggiato i suoi 100 anni, ha attraversato tutte le fasi della commedia italiana. Ha partecipato a numerosi film con Alvaro Vitali, dalla serie di Pierino fino all’esperimento romanesco di Giggi er Bullo. Prima ancora aveva recitato con Claudio Villa e in “Leoni al Sole” (1961), il film d’esordio del regista Vittorio Caprioli ricalcato dal romanzo Ferito a Morte di Raffaele La Capria. Ha recitato anche accanto a Massimo Troisi, Lello Arena e James Senese in “No, grazie il caffé mi rende nervoso”, dove ha interpretato la signora Rosa, la badante “carceriera” del padre di Michele Giuffrida, ossessionato dalla morte e dal mandolino: “T’ha ricuordi Piedigrotta?”.