Inaugurato nel Palazzo Reale di Quisisana a Castellammare il Museo Archeologico di Stabiae “Libero d’Orsi”
Nelle sale del Palazzo Reale di Quisisana è da oggi custodita ed esposta al pubblico, la storia della terza città sepolta dall’eruzione del 79 d.C., Stabiae, riscoperta in più fasi a partire dal 1749.
Ad ospitarne gli oggetti, veicolo del ricordo e della memoria, è il più antico tra i siti reali borbonici, il Palazzo Reale di Quisisana, restaurato con fondi CIPE con lo scopo di essere sede del costituendo museo e di attività di alta formazione accademica. Un lungo iter vede finalmente la conclusione. Un iter burocratico, di progettazione e finanziamento, iniziato negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando un preside di scuola media, Libero d’Orsi, ottenne degli spazi nella scuola media che reggeva, per esporre quanto riportava alla luce sulla collina di Varano e nel territorio un tempo afferente all’ager stabianus.
Libero d’Orsi fu un uomo d’amore e di passione nei confronti della sua Città e di quella storia che volle ostinatamente riaffermare, nonostante le avverse opinioni della soprintendenza, che all’indomani di un conflitto mondiale, non aveva intenzione di intraprendere nuovi scavi oltre quelli in corso a Pompei ed Ercolano. E invece d’Orsi, già Ispettore Onorario della Soprintendenza, insieme con un meccanico ed un bidello, si rese “buon amico della pala e del piccone” (come egli stesso scrisse) e iniziò a tirar fuori dal lapillo l’antica Stabiae. Era il 1950 e i primi edifici indagati furono le ville residenziali, disposte senza soluzione di continuità in posizione panoramica sul pianoro di Varano. Venne indagato nuovamente l’impianto urbano e il territorio contermine, vennero fuori i resti della necropoli (loc. Madonna delle Grazie) che restituì la datazione cronologica a cui far risalire l’origine dell’abitato. Furono indagate inoltre le numerosissime fattorie che affollavano il territorio prima dell’eruzione del Vesuvio.
I numerosi reperti che si andavano recuperando dagli scavi fecero emergere la necessità di un museo cittadino. Fu ancora una volta d’Orsi, insieme al Comitato per gli Scavi di Stabiae da lui fondato, ad inaugurare l’Antiquarium di via Marco Mario a Castellammare nel 1959, donando alla fruizione pubblica un patrimonio culturale costituito da quasi 8000 reperti archeologici. In quelle sale – purtroppo collocate in un seminterrato non idoneo ad una esposizione museale – il racconto di Stabiae fu narrato sino al 1997, anno in cui fu chiuso al pubblico.
A distanza di 70 anni dall’avvio degli scavi e 23 dalla chiusura dell’Antiquarium, la cittadinanza, gli studiosi e i turisti di ogni dove potranno finalmente conoscere nella sua interezza la storia di Stabiae, dalle origini all’epoca della distruzione, dalla riscoperta di epoca borbonica agli scavi del Novecento. L’attuale lavoro è stato frutto di una tenace sinergia tra il Parco Archeologico di Pompei, nella persona del Prof. Massimo Osanna, e dell’attuale amministrazione comunale, i quali hanno portato a conclusione una convenzione che stipula la gestione degli spazi museali all’interno del Palazzo Reale.
Un sogno inseguito da generazioni può dirsi finalmente realizzato. Ma perché sia realmente compiuto, la strada è ancora lunga. Si avvia ora la necessità di una programmazione puntuale affinché il Museo sia facilmente fruibile al pubblico, affinché sia luogo di cultura partecipata e condivisa. All’indomani della ratifica della Convenzione di Faro, l’idea del patrimonio culturale come patrimonio dell’umanità deve trasformarsi da teoria in pratica, facilitando, avvicinando, permettendo. Auspichiamo tutti che il museo di Stabiae diventi un luogo di cultura nella sua accezione più ampia, che sappia parlare di storia e archeologia, che sia luogo di formazione professionale e individuale.
I cittadini, la comunità scientifica, il mondo del turismo attendono da molto tempo questo momento ed è ora che si lavori, insieme, affinché “quel sogno inseguito da generazioni” diventi una concreta e solida realtà.