
Le leggende e le storie fanno di questi posti luoghi carichi di mistero
L’ultimo episodio risale all’ottobre 1943, Faicchio in provincia di Benevento roccaforte tedesca. La fanteria americana si muove nelle terre sannite con l’obiettivo di aggirare le truppe del Reicht di stanza nel borgo. Ma i tedeschi avevano studiato bene la zona, e sfruttando il ponte di Fabio Massimo furono rapidi a dare scacco alle truppe alleate. Un episodio che quasi ripercorre ciò che accadde 2000 anni prima, durante le guerre puniche, quando lo stesso ponte servi’ ad Annibale per sfuggire all’esercito di Roma. Almeno resta l’onore, quello del titolo, il ponte ha conservato nel nome (Fabio Massimo) la storia romana nonostante la sua costruzione sia dovuta ai Sanniti. Già dal neolitico i Sanniti petri abitavano la zona, in pianta stabile sul monte Acero. Sulla cima del monte è ancora ben visibile la cinta muraria del VI secolo, alta in alcuni punti anche 3,5 metri.
In alto al borgo medievale di Faicchio si erge il maniero ducale, risalente al XII secolo e successivamente abbellito da imponenti torrioni cilindrici. Il Castello di Faicchio, denominato nei documenti di investitura feudale “Rocca Nova”, sorge in posizione strategica al centro del paese, su uno sperone di roccia che domina la valle del Titerno. E’ proprio la strategia della sua posizione che ha fatto supporre a storici e archeologi che la primigenia costruzione delle sue mura possa risalire ad epoca antichissima, addirittura sannita (VI sec. a.C.).
Nel corso del 1300, il castello fù oggetto di restauri, ed ampliamenti, che sicuramente lo ingentilirono, senza togliergli del tutto il rude aspetto di maniero difensivo.
Nel 1612, così come recita l’epigrafe posta sul portale d’ingresso, esso fu ristrutturato e in buona parte trasformato nelle proporzioni che noi oggi possiamo ammirare dal nobile napoletano Gabriele De Martino.
L’edificio ha la forma di un poligono irregolare i cui lati sono raccordati tra loro da tre torrioni. La struttura richiama il celebre “fratello maggiore” di Napoli, ossia il Maschio Angioino. I torrioni, infatti, seppure in proporzioni ridotte, poggiano su basi tronco-coniche come quelli del castello Partenopeo.
Di torri ne sopravvivono solo tre essendo una torre crollata, probabilmente a causa di uno dei tanti terremoti che sconvolsero la valle telesina, e non fu piè ricostruita nè ve ne resta traccia alcuna lungo il perimetro murario; anche per questo motivo qualche esperto contemporaneo ha avanzato la tesi che la quarta torre non era mai stata costruita e che il castello avesse solo tre torri. Sul lato destro presenta un porticato ad archi e pilastri, coperto da volte a vela, che sorregge un terrazzo protetto da una balaustra con anelli in tufo locale scuro. Con questo stesso materiale sono costruiti i fregi, decorazioni varie e gli stemmi che ornano il terrazzo più piccolo, affacciato sulla sottostante Piazza Roma.
Molto suggestivo anche il campanile che affaccia sulla Piazza, del XVIII sec.
In alto sul portone dell’ingresso principale sono ancora visibili dei fori necessari allo scorrimento delle catene del congegno di manovra del ponte levatoio, mentre nelle spesse mura delle torri si notano ancora strette aperture verticali, piuttosto larghe dal di dentro, da dove venivano scagliate le armi di pietra contro gli aggressori. I sotterranei del castello sono profondi e impraticabili, perchè in parte ostruiti, mentre il locale del carcere, un buio antro al pian terreno, è in buono stato consentendo ancora la visione di indecifrabili e antiche iscrizioni con rozze croci, forse testimonianza di poveri prigionieri in catena.
La leggenda popolare tramanda che nella cappella del castello si trovava un gran quadro raffigurante Santa Barbara che, dopo le pie funzioni religiose, si faceva baciare al condannato. Questi nell’accostarsi al quadro, poneva a sua insaputa i piedi su di una botola, nascosta nel pavimento, esistente tutt’oggi, che si apriva e inghiottiva, irreparabilmente, il povero carcerato: il famigerato “trabocchetto”.