Nella Chiesa Madre una storia di devozione raccontata nel legno, nella pietra e sulle tele
Ai piedi del Laceno, Bagnoli Irpino è uno scrigno di fede e di storia. Fondata in tempi antichissimi, addirittura risalenti a quelli dei Sanniti Irpini, a Bagnoli sono passati tutti. Tranne i francesi.
Fu un miracolo della Madonna, nel 1799. Secondo la tradizione, fu Lei a impedire che il borgo patisse il furore e i massacri che le truppe giacobine perpetravano, in quel periodo, in altri paesi dell’Irpinia, come Mercogliano. E ancora oggi quel miracolo è ricordato da due targhe scoperte a distanza di cento e duecento anni da quei tribolati momenti sulle mura della Chiesa della Collegiata di Santa Maria Assunta.
Il tempio risale alla ricostruzione longobarda del paese. L’impianto è a croce latina, dotato di tre navate e due transetti. Numerose e affascinanti le opere d’arte qui custodite insieme alle reliquie di sant’Onorio, trasferite in Irpinia alla fine del ‘600, grazie all’interessamento della duchessa Ottavia Renzi che ottenne dal cardinal vicario dell’allora pontefice Innocenzo XI. Dal 1689 è un’urna d’argento che custodisce le reliquie del santo martire di Ostia.
Sculture e quadri rendono la Chiesa Madre della Collegiata a Bagnoli Irpino un’autentica wunderkammer della fede. Grazie alle opere di artisti celebrati forse meno di quanto avrebbero meritato, come i bagnolesi Domenico Venuta (a cui si deve una bellissima statua con parti lignee della Beata Vergine Addolorata, vestita con l’abito ricamato a filo d’oro) e Andrea D’Asti (autore, insieme alla Decollazione di San Giovanni e al quadro dell’Addolorata, della tela in cui l’Assunta, ritratta quale virgo lactans, è con i santi Onorio, Lorenzo e Carlo Borromeo).
La più preziosa testimonianza artistica della fede, però, è (semi) nascosta agli occhi. Per entrarvi, bisogna varcare la sacrestia e sbucare alle spalle dell’altare dominato da un eccezionale organo. È il coro ligneo, il cui allestimento risale agli anni tra il 1652 e il 1657 ad opera degli artisti locali Scipione Infante, Angiolo Della Vecchia e Giacomo Bonavita. I diciannove posti, o stalli, sono tutti instoriati di episodi biblici che fondono – in un solo racconto scolpito nel legno – episodi tratti dall’Antico (con la tecnica dell’altorilievo) e dal Nuovo Testamento (in bassorilievo).