Si sale e poi si scende: un itinerario che attraversa la storia di Napoli e i suoi illustri personaggi
Sette colli ha Roma, città immobile ed eterna. Napoli la sfida e la supera: i suoi colli sono otto. Uno di questi è collina “bastarda” uscita dal suo lungo letargo di oblio e degrado grazie alla penna dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni autore di un libro di successo a cui ha fatto seguito una fiction dal titolo “I bastardi di Pizzofalcone”. Così oggi, grazie alle vicende dell’ispettore Lojacono, i napoletani sanno che questi luoghi non solo esistono ma esistono da millenni! Questi sono i luoghi in cui tutto ha origine, sono i luoghi di Partenope: comincia da qui la storia millenaria di una città che fu prima vecchia e poi nuova.
La collina di Pizzofalcone, si nasconde dietro a una cupola neoclassica che svetta in quella che è la piazza più grande di Napoli, Piazza Plebiscito. Ha un secondo nome, più santo, più bello: Monte di Dio.
Qui, su questa altura gialla, nel ‘200 per volontà di re Carlo I d’ Angio’ si praticava la real caccia al falcone. Questo luogo è, oggi, anche un piccolo quartiere militare diviso tra una caserma di polizia (Nino Bixio) e la Scuola militare Nunziatella di epoca borbonica con la sua quasi inaccessibile chiesa dedicata alla Santissima Annunziata. Il suo portone lo si trova quasi sempre sbarrato. Ma da queste parti va di moda.
Ce ne è un altro di portone sbarrato, ma questo non si apre mai dal 1799, da quando fu sbattuto in faccia a un tiranno. E’ il portone del Palazzo Serra di Cassano che da’ sul lato di Santa Maria Egiziaca, segno di lutto e dolore portato da questa nobile famiglia quando il giovane Gennaro Serra di Cassano, reo di aver aderito alla Repubblica partenopea del 1799, fu giustiziato. Quel tiranno, qui e solo qui, in questo cortile settecentesco, si chiamava Ferdinando. Proprio lui, l’amato Borbone. Eppure, finché non noti quel portone chiuso, il palazzo sorride, ti invita ad entrare, ti abbraccia, le sue scale di marmo e piperno ti cingono e ti fanno danzare. Non c’è ricordo del dolore difronte alla bellezza. Monte di Dio stretta tra questi palazzi nobiliari, botteghe, fruttivendoli e artigiani ha saputo caparbiamente conservare storie e vicende di uomini illustri che hanno calpestato queste strade.
Spicca tra loro anche la storia di una donna, robusta, acuta, nata greca e morta napoletana. Visse in uno di questi palazzi, il cinquecentesco palazzo Ciccarelli, si chiamava Matilde Serao. Donna Matilde, fu scrittrice di storie e leggende, fondatrice di giornali e per poco non vinse anche il nobel. È col ricordo della sua incredibile storia di giornalista e donna carismatica che giungiamo fino al belvedere di Monte Echia dove, immersi nel tufo, scorgiamo adesso, finalmente, l’azzurro.
Qui il tufo scende a zig zag come fiume che scorre verso il mare. Sono rampe assolate dedicate a Lamont Young, architetto e urbanista britannico che qui costruì una deliziosa villa in stile neogotico dedicata a sua moglie: Villa Ebe. Tutto molto romantico come i fiori e le rosse bouganville che ovunque circondano la villa, peccato che qui morì suicida nel 1929. Che coincidenza. Anche lui, come Partenope, venuto a morire in prossimità di uno scoglio. Il suo spirito impregna ovunque queste rampe di tufo fatte di scritte, bassi e panni stesi, e che sfidano, con la loro autenticità, il lusso artefatto e ostentato di hotel e ristoranti.
Questi sembra che vogliano comandare ed imporsi su un lungomare dove un tempo esisteva un unico castello a forma di uovo ed era in posizione di difesa. Ma, attenzione! Anche lui è di tufo e come le rampe sue amiche e dirimpettaie, ci mostra qualcosa, non sono panni stesi o graffiti ma cannoni ben puntati verso la città affinché sia ben chiaro che qui è ancora lui che comanda. Ed è lui che custodirà per sempre Partenope.