Ritrovata grazie all’intuito di Giuseppe Maggi, ha rilanciato l’immagine nel mondo del sito negli anni ‘80
Concitate grida reclamarono quasi all’improvviso l’allora direttore di Ercolano, Giuseppe Maggi, su quel cantiere che avrebbe portato ad una grande scoperta. Era il 3 agosto 1982 quando nella zona davanti alle Terme Suburbane emerse una chiglia di una barca rovesciata dalla furia del Vesuvio nella terribile eruzione del 79 d.C.
Lunga oltre 9 metri e con una larghezza massima di circa 1 metro dalla chiglia al bordo, grazie al flusso piroclastico che l’ha sigillata per secoli, oggi è possibile ammirare la famosa Barca di Ercolano.
L’assenza di ossigeno ne ha permesso la conservazione del legno e secondo gli studiosi la struttura prevedeva la presenza di tre scalmi per lato e poteva essere manovrata da tre coppie di remi. Diversi furono i reperti trovati assieme alla barca e sepolti nel fango. Fra questi la punta di una prua che si è conservata in maniera eccezionale con le tracce di colore con cui era stata dipinta, il rosso cinabro, e perfino un minuscolo salvadanaio in legno con coperchio scorrevole con dentro una monetina d’argento e una di bronzo con il volto di Vespasiano.
La barca, inoltre, era dotata di un timone esterno a remo che era bloccato da una cima ritrovata durante le operazioni di estrazione dal fango, impresa non semplice perché, proprio come racconta Maggi nel suo libro “Ercolano. Fine di una città”, da un saggio piccolo che si era aperto all’inizio dello scavo si era passati ad una specie di voragine che pullulava di corpi da salvaguardare. Il tempo a disposizione era poco e i fondi erano finiti.
Per proteggere la barca gli operai costruirono in fretta un capannone in muratura e lamiera mentre si cercava di estrarre quanto più fango possibile per portare alla luce dati e reperti. Si recuperarono corde spezzate, agli, cipolline, pettini in bronzo, un cestino di vimini e altro ancora trasportato chissà da dove dal fango vulcanico. Grazie al National Geographic, Ercolano faceva notizia nel mondo e intanto, ad esaminare la barca, giungeva nella cittadina vesuviana uno dei maggiori esperti di archeologia navale: J.Richard Steffy dell’Institute of Nautical Archaeology del Texas. Il reperto veniva confermato come un’imbarcazione di nove metri in buono stato di conservazione tranne per un notevole schiacciamento al centro che se non restaurato in tempi brevi avrebbe sicuramente portato dei rischi enormi per la conservazione.
Complessi e delicati lavori di restauro furono effettuati all’incirca dieci anni fa e ora la barca si trova esposta nell’apposito padiglione all’interno del Parco Archeologico di Ercolano costruito per garantirne la conservazione e la fruizione da parte dei visitatori.