Il ruolo sacerdotale del “femminiello”, voce degli dei che distruibisce le sorti per l’anno nuovo
S’era detto, con Alfredo Cattabiani, che il gioco, nel periodo al giorno d’oggi si identifica con quello natalizio, aveva avuto una funzione (anche) sacrale, legata al culto del dio Saturno, di redistribuzione delle sorti per l’anno nuovo che sarebbe giunto dopo la celebrazione dei Saturnalia.
Da quest’angolo visuale, la Tombola assume un significato assai più affascinante di quello, pure bellissimo, del passatempo familiare e comunitario.
Il funzionamento del gioco è arcinoto, la semplicità è la sua forza. Chi tiene il banco, anzi il cartellone, estrae dal panariello i numeri che i giocatori cercano sulle cartelle che hanno acquistato prima che l’estrazione abbia inizio.
Chi sarà fortunato, centrerà i premi: l’ambo (due numeri usciti tra quelli segnati sulla stessa riga), il terno, la quaterna, la cinquina fino all’ambitissima tombola. Nella versione che si è imposta nel corso del tempo, chi regge il tabellone partecipa egli stesso al gioco.
Se dovessimo però allargare lo sguardo alla tradizione e al gioco che, negli altri periodi dell’anno ha “sostituito” su più larga scala la tombola e cioé il lotto, troveremmo il primo elemento interessante che ci riporta all’insegnamento di Cattabiani.
Chi estraeva i numeri, un tempo e alla Sisal, non partecipava al gioco, in teoria per garantirne l’imparzialità. In realtà, a celebrare il rito divinatorio non poteva che essere una figura diversa per sua natura, e quindi terza, rispetto alle pulsioni in gioco e, perciò, autentica e fedele interprete voce dell’oracolo o dei Monopoli di Stato. E se il Lotto si affidò alla “mano d’e creature“, al pais innocente, la tombola era guidata da una figura sacerdotale.
Per questo il panariello era compulsato dalla mano degli dei che s’esprimeva in quella del femminiello che, a sua volta, utilizzando il codice della Smorfia, leggeva e tesseva storie dai numeri che uscivano.
Non è mica un caso: i sacerdoti di Cibele, così come i ministri del culto della Madre nell’area mediterranea, erano eunuchi. In loro e solo in loro, gli dei trovavano il tramite per far ascoltare ai devoti la loro voce. E quei riti, finalizzati alla fecondità e alla sua celebrazione, erano sottratti a ogni regola del vivere quotidiano secondo la regola del tempo di ferie che sovverte l’ordine costituito per degnamente celebrare le potenze divine. Ne è un esempio, ancora vivo, il pellegrinaggio in Irpinia della juta dei femminielli a Montevergine.
I Saturnalia, quindi, si incontrano con le celebrazioni isiache, della Grande Madre. Una tradizione che non è mai scomparsa perché, filtrata dal cristianesimo, si è solidamente inserita nell’immaginario culturale napoletano, arrivando a creare, nel tempo, decine e decine di figure legate alla divinazione e al culto, autentico, della Cabala.
Quella è la tradizione che, oggi, sopravvive come rievocazione e intrattenimento nelle tombole “scostumate”, che punteggiano il Natale culturale a Napoli e dintorni.