
Un tour nel sito archeologico alla scoperta delle decorazioni ispirate all’Egitto
Oltre alle rappresentazioni isiache legate al culto, a Pompei divenne di moda decorare le case con temi egizi o egittizzanti sviluppando una vera e propria egittomania. Si sono riconosciuti due filoni decorativi ispirati all’Egitto, uno definito “faraonico”, nel quale compaiono immagini e simboli che si propongono di imitare lo stile e le architetture dell’Antico Egitto, e l’altro definito “nilotico” perché riprende paesaggi fluviali e scene con animali del Nilo.
Lo stile “faraonico” si ritiene sia entrato nel repertorio figurativo nei decenni finali del I secolo a.C., negli anni immediatamente successivi alla conquista dell’Egitto da parte di Roma. Dalle committenze più elevate, i cui esemplari migliori si conservano proprio nell’Urbe, nella Casa di Augusto sul Palatino, si passa ad esemplari di più modeste pretese ma che rendono bene la moda del momento anche in ambito vesuviano. Tra gli esempi meglio conservati a Pompei ci sono le decorazioni della Casa del Bracciale d’oro (Regio VI, 17, 42), della Casa dei Cubicoli Floreali (o Casa del Frutteto I, 9, 5) e di alcuni ambienti della Villa dei Misteri.
Nella Casa del Bracciale d’oro una grande pittura raffigurante un giardino con arredi scultorei egizi decorava una sala adibita a triclinio estivo (oggi alcuni pannelli sono esposti all’Antiquarium degli scavi). Disposta su più livelli e affacciata sul mare la ricca casa faceva parte del complesso dell’Insula Occidentalis, vere e proprie ville urbane con sale riccamente dipinte, terme private, diversi ambienti servili e le migliori viste sul Golfo. Nei dipinti il ricco giardino è popolato da vari arredi marmorei (erme, vasi-fontana, maschere appese) e da uccelli resi in maniera realistica alla pari della lussureggiante vegetazione. Le decorazioni egizie sono anche presenti in un ambiente contiguo con la rappresentazione di un giardino i cui arredi sono statue di faraoni, sfingi, quadretti marmorei con raffigurazione del bue Api. Le stesse maestranze che lavorarono in questa domus, dovettero anche essere attive negli ambienti della Casa del Frutteto. I pittori riprendono gli stessi motivi utilizzati nella villa, riproponendo le due ambientazioni, “romana” ed “egizia”, in due cubicoli nettamente diversi per i colori utilizzati nello sfondo, l’azzurro e il nero. Anche qui vediamo lo stesso repertorio d’arredo con statue faraoniche, rilievi con il bue Api e figure egizie, idrie e situle che si mescolano a vasi-fontana e quadretti con Dioniso.
Scoperta nel 1909, Villa dei Misteri deve il suo nome all’affresco di Secondo Stile con figure a grandezza quasi naturale che decora un triclinio. La megalografia è stata interpretata da alcuni studiosi come la rappresentazione di un rito di iniziazione ad un culto misterico. Il tablino, cioè la sala in cui il padrone di casa riceveva ospiti e clienti, ha restituito uno dei migliori esempi di decorazione in Terzo Stile a fondo nero presenti nella città antica: nelle pareti, tripartite da esili elementi architettonici, trovano spazio raffinati motivi decorativi miniaturistici di tipo “faraonico” che vedono alternarsi simmetricamente gruppi a soggetti singoli; si vedono urei e sfingi su tavolini, il dio Thoth, dalla testa di ibis con scettro ad uncino e ankh, il simbolo della vita, la dea Iside alata, protettrice dei morti. Imitati fedelmente dalla pittura egizia e con una valenza puramente decorativa, questi soggetti, per il loro stile lineare, colorato, privo di qualsiasi profondità, si inseriscono perfettamente negli schemi estetici della prima età imperiale.
Il secondo filone decorativo, chiamato “nilotico”, è invece presente in età repubblicana. Negli anni centrali del I secolo a.C. barche di papiro, palme, animali esotici alludono all’Egitto e al Nilo proponendo una serie di immagini in aree laziali, come quella di Palestrina con il grande mosaico nilotico, e anche a Pompei con i mosaici della Casa del Fauno. Tra gli esempi meglio conservati si segnalano i quadretti a mosaico provenienti da due ambienti di ricevimento della Casa del Menandro (I 10,4) e della Casa di Paquio Proculo (I, 7, 1), un affresco dalla Casa del Medico (VIII, 5, 4) e diversi affreschi con divinità egizie e paesaggi nilotici spesso dipinti nei triclini estivi delle domus. I protagonisti di queste scene sono personaggi caratteristici, i pigmei, che in un’ambientazione definita dalla tipica flora e dalla fauna esotica della terra dei faraoni (coccodrilli, ippopotami ma anche anatre e palme), sono immortalati in goffe battaglie contro animali e scene erotiche. I due quadretti e la pittura, pur nella diversità della tecnica, mostrano il progressivo diffondersi, a partire dalla metà del I secolo a.C., tra il 50 e il 25 circa, di un repertorio nilotico adottato da committenti sia nelle sale da ricevimento, sia nei giardini, con l’intento, attraverso il paesaggio esotico e i suoi personaggi immaginari, di creare un mondo “altro” che allontana la realtà verso orizzonti esotici e fantastici.
Nel triclinio estivo della Casa dell’Efebo (I 7, 10-12.19), affacciato su un giardino, al di sotto di un pergolato con colonne rivestite in stucco si conservano perfettamente gli affreschi delle pareti interne del letto triclinare con scene di paesaggi nilotici e decorazioni che alludono all’Egitto. Tra i personaggi raffigurati c’è Isis-Fortuna in un’edicola con fedeli stanti al cospetto della divinità o che camminano nei pressi di un piccolo obelisco, ma c’è anche l’inondazione del Nilo in cui emergono dalle acque lembi di terreno e pigmei, protagonisti in molte scene e attività varie che si accompagnano ad animali e sono circondati da vegetazione. Altre figure sono invece in festa o impegnate in offerte tra statue sacre, una di queste dedicata al bue Apis; una scena a sfondo erotico con symplegma, un amplesso, impegna due amanti nudi mentre un uomo e due donne li osservano e una di loro suona un doppio oboe.
La Casa del Criptoportico (I, 6, 2-16) presenta anch’essa scene nilotiche. La ricchezza e il gusto del proprietario, oltre che nella raffinata decorazione dell’edificio, è anche testimoniata dalla presenza di un complesso termale privato. L’abside del calidarium, l’ambiente per i bagni caldi, era decorata con un paesaggio nilotico e lo zoccolo del muro con piante acquatiche su fondo giallo; il pavimento è ornato da uno splendido mosaico in bianco e nero su cui appaiono figure nere itifalliche di nuotatori, a evocare le paludi del Nilo. Attraverso queste scelte decorative la stanza avrebbe così riproposto, a chi vi accedeva per rilassarsi, un tipico paesaggio egizio con la raffigurazione del Nilo e della sua vegetazione, degli abitanti e degli animali di quelle terre. Altri elementi egittizzanti sono sopravvissuti in altre parti del complesso termale non fruibili al pubblico: nell’apodyterium, o spogliatoio, è dipinta una sfinge; sul lato ovest del frigidarium, l’ambiente per bagni in acqua fredda, rimane un paesaggio, indicato come paesaggio sacrale, dove vi è traccia di una torre egizia tra due palme.
Riportata alla luce tra il 1926 e il 1932, la Casa del Menandro (I, 10, 4) deve il suo nome al ritratto del commediografo greco rinvenuto su una delle pareti dell’abitazione. Con una superficie di 1830 metri quadrati, risultato di una lunga serie di trasformazioni dal III secolo a.C. fino all’epoca dell’eruzione, è una delle case più ricche della città. Il mosaico con scena nilotica che decorava il triclinio invernale aperto sul peristilio rimanda al mondo favoloso dei pigmei, un tema, come abbiamo visto, particolarmente diffuso nel repertorio figurativo pompeiano. I pigmei appaiono qui come figure deformi, grottesche, con gambe corte, glutei sporgenti e teste ingrossate, di diversa età, intenti alla navigazione su barchette fluviali lungo il corso del Nilo, tra animali e vegetazione, non molto distanti dalla sponda del fiume.
La Casa dei Pigmei prende il nome da un’eccezionale stanza decorata con paesaggio nilotico e databile alla seconda metà del I secolo d.C. I pigmei, che in età ellenistica diventano elementi grotteschi ed umoristici, vengono rappresentati lungo le sponde del grande fiume popolato da anatre e piante di loto. Su un’isoletta, collegata ad altre terre emerse tramite pontili in legno, è raffigurato un albero sacro dal quale pende un velo. Accanto ad esso, un pigmeo itifallico trasporta due grandi ceste. Al di là del velo, vicino ad un piccolo tempio, vi è un pilastro alla cui sommità è collocata una statua del dio Sobek, il dio coccodrillo. Sulla parete sinistra dell’ingresso della domus si conservano tra frammenti di affresco di grandi dimensioni in cui è ripresa la stessa ambientazione: tra loti, piante acquatiche ed anatre, si riconoscono un’imbarcazione carica di anfore e sopra un isolotto un tempio con donna colta nell’atto di sacrificare; altre donne si avvicinano a lei con cesti in testa recanti offerte. Presente anche un pigmeo e ulteriore ambientazione tipicamente nilotica con capanne, palme e isolotti.
Un caso particolare è anche la Casa di Octavius Quartio (II, 2, 2) dove il proprietario aveva allestito un grande giardino percorso da due canali disposti a forma di T, alimentati da tubature in piombo, che dovevano evocare un paesaggio nilotico, simulando la famosa inondazione del Nilo. Il giardino era ornato da statuette raffiguranti divinità egiziane accanto ad altre greco-romane, un ibis di marmo, e una serie di lucerne di cui due, in bronzo, decorate l’una con il busto della divinità Zeus-Ammon, l’altra con un fiore di loto. La casa è la più nota fra le ville urbane presenti in città, utilizzate dell’élite pompeiana poco prima dell’eruzione a imitazione delle sfarzose ville imperiali presenti nel Golfo di Napoli. Il complesso ha una storia edilizia piuttosto lunga che ha inizio durante l’età sannitica ed ebbe tra i proprietari un Augustalis, come dimostrerebbe una grande corona civica in stucco posta a decorazione della porta d’ingresso. All’ampio giardino inferiore, che occupava la maggior parte della superficie della casa, si accedeva tramite una scalinata. Un canale lungo 50 metri corre da un’estremità all’altra del giardino, ma al momento dell’eruzione i canali erano fuori uso e si stavano riallacciando all’acquedotto le condutture in piombo della casa, probabilmente danneggiate dalle scosse sismiche che precedettero l’eruzione. Durante lo scavo furono riportati alla luce diversi oggetti e affreschi definiti “egiziani” dagli scavatori, interpretati come testimonianze del culto isiaco e dunque elementi fortemente caratterizzanti le preferenze religiose dei proprietari. I primi Aegyptiaca a venire alla luce furono due figurine con invetriatura verde, un Bes, un faraone e cinque basi di altre statuette dello stesso materiale completamente rotte.
Delle statuette di Bes e faraone restano purtroppo solo immagini, in quanto il materiale andò distrutto durante il bombardamento aereo che colpì l’Antiquarium di Pompei e molti altri luoghi della città antica il 24 agosto del 1943. Probabilmente, questi oggetti invetriati dovevano arrivare direttamente dall’Egitto, come hanno rilevato le analisi chimiche di altre statuette invetriate, assumendo un certo valore come merce importata, anche se a Pompei è stata ritrovata merce simile sia in contesti ricchi sia umili. Nello scavo venne poi alla luce una sfinge di marmo bianco collocata lungo uno dei canali insieme ad altre sculture con soggetti diversi. La sfinge è in stile egizio, sdraiata sul ventre con corpo di leone e testa umana maschile con nemes sul capo. L’uso del marmo bianco indicherebbe un’origine non egiziana e ciò non deve sorprendere in quanto molti oggetti iconograficamente imitanti lo stile egiziano erano, in realtà, prodotti localmente. Tra i ritrovamenti della casa vi è anche un affresco con un sacerdote di Iside che veste una tunica bianca e ha il cranio rasato, nella mano destra regge il sistro e nella sinistra una situla. La casa, da sempre, viene considerata sede di un culto isiaco privato, soprattutto per la presenza della raffigurazione del sacerdote, ma la sola immagine di questi non è prova sufficiente per identificare la stanza come cappella di Iside, tanto più che non sono stati rinvenuti oggetti cultuali, di solito connessi alla dea e che sono stati trovati invece in altre case pompeiane. Discorso a parte andrebbe fatto per gli arredi egittizzanti ed egizi la cui presenza non sembra avere motivi cultuali ma solo di exotica, oggetti divenuti di moda dopo la battaglia di Azio e la conquista romana dell’Egitto.