Tra porcellane, rococò e ricordi personali: un racconto intriso d’amore e passione
Meglio morta che di un altro. Non la moglie, la fabbrica di porcellana. Quando Carlo di Borbone lascia Napoli per diventare re di Spagna, nel 1759, fa chiudere la manifattura di Capodimonte e porta i migliori artisti a Madrid, dove fonda la manifattura del Buen Retiro. Anche la moglie era di porcellana, cioè, Maria Amalia di Sassonia veniva dal paese che per primo aveva trovato, in Occidente, la formula per rifare la porcellana cinese: ci voleva il caolino (e un 20% di petunsze). Cerca cerca il caolino nel regno di Napoli, non se ne trova. Per questo i cinesi del salottino di porcellana di Portici hanno quei colori brillanti e pastosi insieme, perché non è porcellana vera, detta a pasta dura, è porcellana a pasta tenera (la pasta non è tenera affatto, lo è lo smalto che riceve), fatta di un insieme di terre ricche in feldspato. La pasta prima secca all’aria, poi è cotta una volta a alta temperatura. Allora viene dipinta e si passa lo smalto: con la cottura successiva, a bassa temperatura, i colori sono assorbiti dal biscotto e appaiono sotto lo smalto, a base di piombo, approfittando della sua luminosità. Il piombo li fa scintillare come i vostri bicchieri di cristallo.
Il salottino di Portici è stato il canto del cigno di Capodimonte, poi la fabbrica ha chiuso per sempre[1]. Realizzato su un progetto di Giovan Battista Natali tra il 1757 e il 1759, é costituito di lastre di porcellana spesse un centimetro e realizzate per stampaggio. Le lastre sono fissate con delle viti a un telaio di legno, le giunture sono mascherate dalle cornici di legno. Di porcellana era anche il pavimento, scomparso, mentre la volta è realizzata a stucco, trattato – la tecnica, ovviamente a base di polvere di marmo, non è nota – in modo da imitare la porcellana. Luigi Vanvitelli nel 1758 scrive al fratello Urbano : « Ho visto un gabinetto tutto di porcellana, compreso il pavimento. Né vi è altro di diverso che sei specchioni di cristallo, che devono venire di Francia »[2]. Di porcellana è anche lo straordinario lampadario, che rappresenta una palma sulla quale s’è arrampicata una scimmia mentre vicino un cinese col ventaglio stuzzica un drago. Cinesi ovunque, alcuni tengono persino un cartiglio scritto in veri ideogrammi cinesi, che celebrano il re Carlo[3], trofei musicali che mischiano le ciaramelle napoletane coi flauti cinesi a più canne, vasi di fiori, scimmie. Il tutto ipertrofico, onnivoro, aereo e tappezzante insieme. Non cercate la Bellezza nel Rococò, quella della quieta grandezza cara a Winckelmann ; il salottino di Portici, espressione del Rococò al suo apogeo, è intriso di Grazia che, secondo Roger de Piles è « ce qui plait sans passer par l’esprit ». E’ un altrove fantastico, dove non esistono più il dolore, e il peso della materia, dove uomini e cose restano fragili, ma diventano preziosi e inscalfibili, come la porcellana.
Erano esistiti prima vari salotti fatti per esporre la porcellana (il più ossessivo è quello di Charlottenburg) ma mai, prima, un salotto fatto di porcellana, da cima in fondo. E’ una prodezza tecnica, che vuole imporre la manifattura di Capodimonte nel mercato europeo, e una sfida, la scommessa di rendere un sogno realtà. Maria Amalia non poteva portarselo via, allora se l’è fatto rifare, mutatis mutandis, dalla fabbrica Buen Retiro nel castello di Aranjuez, dove potete ancora vederlo.
Probabilmente di porcellana erano anche i mobili e da lì viene una console oggi conservata nel museo della ceramica di Sèvres. Da una base di rocce emerge un tronco che sostiene un vaso, una scimmia, un’aquila. Sul ripiano, vero exploit tecnico perché misura un metro di lunghezza, gioca un imperatore cinese bambino. Se la porcellana ha permesso la resa naturalistica degli elementi fitomorfi e animali, l’artefice – forse quel tirannico Giuseppe Gricci, modellatore capo della manifattura – dimostra però di conoscere bene Brustolon e Bernini.
Infine un ricordo personale. Alcuni anni fa sono andato al museo di Capodimonte, dove dal 1866 è stato rimontato il salottino della reggia di Portici, e ho trovato il salottino chiuso. Ovunque altrove mi sarei rassegnato, ma a Napoli si può tentare. Ho chiesto a una guardino : « Mi scusi, vengo da Roma, sono storico dell’arte e m’interesso in particolare alle arti decorative… Non è che si potrebbe fare qualcosa ? ». Lui risponde : « Penso di si, quando si può fare un piacere… ». Chiama un collega, che prende il suo posto, mi accompagna al salottino, me lo apre, e per cinque minuti restiamo lì noi due, io che guardo i cinesi e lui che guarda che io non ne rubi uno. Quando esco cerco di sdebitarmi, ma lui rifiuta e mi ripete « Per carità, quando si può fare un piacere… ». Ho lavorato per molti anni al Louvre, quando ho riferito quest’episodio ai miei colleghi che ancora lavorano lì, mi hanno guardato come se fossi tornato da un altro pianeta. E forse è così, per fortuna.
[1] La Real Fabbrica Ferdinandea, aperta da Ferdinando IV nel 1773, avrà caratteristiche stilistiche e tecniche diverse.
[2] F.Strazzullo, Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, 1976, p.23
[3] I gesuiti del Collegio dei Cinesi, situato presso la chiesa di San Severo a Capodimonte, ospitavano una comunità di cinesi convertiti.
Foto credit sito ufficiale Reggia di Capodimonte.