Nativo di Barletta ma cresciuto a Napoli, fu il fondatore della scuola di Resina
Le temperature rigide di queste prime settimane del 2021 ci stanno spesso offrendo l’immagine tanto inconsueta quanto seducente del Vesuvio innevato, una cartolina ricorrente nei mesi invernali ma comunque inconsueta ai nostri occhi, capace sempre di toccare l’animo romantico del popolo campano. Fu esattamente in questa stessa veste che, nel 1872, Giuseppe De Nittis immortalò il Vesuvio, dipingendo a olio su una piccolissima ma preziosa tavola di quasi 9 centimetri per 18.
Nativo di Barletta ma cresciuto a Napoli, De Nittis si era trasferito a Parigi nel 1867 e qui aveva fatto successo, lavorando al soldo dei più importanti mercanti d’arte del momento. Di tanto in tanto, però, ritornò in patria con la sua famiglia e dipinse nei suoi luoghi più amati della sua gioventù, alle falde del Vesuvio, dove, prima della sua partenza per la capitale francese, assieme agli amici e colleghi Federico Rossano, Marco de Gregorio e il toscano Adriano Cecioni, aveva fondato la cosiddetta Scuola di Resina, gruppo di ‘intransigenti’ che rifiutavano i desueti e soffocanti insegnamenti accademici per praticare una pittura moderna ed en plein air, fatta di rapidissime e succose macchie di colore e desiderosa di restituire una visione schietta e poetica della natura. In un certo senso la Scuola di Resina fu una continuatrice ed erede morale della famosa Scuola di Posillipo, anche se, sotto alcuni punti di vista, i loro interpreti applicarono in tutto e per tutto quei principi pittorici e di osservazione del vero che, di lì a qualche anno, avrebbero sconvolto prima la Francia e poi il mondo intero sotto il nome di “Impressionismo”.
Questi stessi principi, con pennellate guizzanti e materiche, li ritroviamo in questo paesaggio vesuviano innevato, con il vulcano ancora fumante: era il 1872 e De Nittis, ritornato a Napoli per sfuggire ai pericoli della guerra franco-prussiana, aveva avuto la ‘”fortuna” di assistere alla grande eruzione cominciata ad aprile. Arrampicandosi fino alle più alte sommità del vulcano in piena attività, realizzò un numero grandissimo di vedute di questo genere, ritornando alla sua maniera giovanile e dipingendo una vera e propria serie pittorica, ancora oggi considerata uno dei punti più alti della sua arte.