L’incendio del campanile, il sacro ed il profano di Napoli

foto sky tg 24

L’apice della festa del Carmine è l’emblema della tradizione napoletana

Perdersi in ricerche non serve, d’altronde come in tutto quello che riguarda la napoletanità più verace, quella tramandata, quella che non si improvvisa ma si forma nel DNA di chi nasce in questi luoghi, chi respira l’aria del golfo, di chi il Vesuvio è il panorama, e  non il nemico.

Piazza del Carmine è l’essenza di Napoli, un volta con piazza Mercato era il centro del commercio, oggi è un parcheggio enorme, per chi la guarda da fuori con gli occhi della diffidenza. Per i napoletani, il “Carmine” è la chiesa, è ancora il centro, è il fulcro. Nei lastroni vulcanici che fanno da tappeto è impressa la storia e poco importa se sono stati “imbruttiti” dalle  strisce blu del parcheggio a pagamento. Al Carmine si respira aria di Napoli, la piazza è un salotto esposto verso il mare, racconta di battaglie, di difesa estrema della città, di storia pulsante questa piazza incastrata tra il moderno e l’antico, tra una Napoli che era e che fu ma che resta li, uno squarcio nel tempo, cosi come la piazza è uno squarcio nel tessuto urbano.

Il campanile è il guardiano, appoggiato alla chiesa che dà il nome alla piazza e alla storia, si accerta che la tradizione venga tramandata, osserva Napoli dall’alto, si fa custode e padre. E’ il più alto della città, spicca in tutti i panorami, ma lui è discreto, si lascia immortalare in attesa della gloria.

La gloria arriva, e arriva ogni anno il 15 di Luglio, il campanile si spoglia delle sue vesti di guardiano della piazza e si veste di luce. “L’incendio” è una memoria storica, tramandata da padre in figlio, vi accorrono migliaia di persone, col naso all’insù, incantate e il gigante lascia fare, si mette in “luce” solo per una sera ma quella sera è attesa per 365 giorni.Ai tempi di Masaniello, c’era l’usanza di fingere un attacco ad un fortino in legno costruito in piazza del Mercato per poi chiudere la rappresentazione con l’incendio dello stesso. Masaniello, era uno dei capi dei lazzari che assalivano il fortino, e la sua rivolta iniziò proprio durante i preparativi della festa del Carmine. Durante il regno dei Borbone, i sovrani di Napoli omaggiavano la Vergine, regalando ogni anno due barili di polvere pirica per gli spettacoli esterni. Nel secolo scorso, la festa richiamava folle da ogni parte della città e della provincia, caratteristiche erano le bancarelle dei venditori di impepate di cozze, di cocomeri, e soprattutto la tradizione casalinga del tarallo e della birra al balcone di casa propria mentre si ascoltavano le canzoni radiodiffuse per le vie del quartiere.

Alle ore 22.00 del 15 luglio si spengono le luci della piazza, e ha inizio lo spettacolo: girandole colorate richiamano l’attenzione dei presenti, poi dei bengala colorati con la scritta Napoli devota alla Madonna Bruna ricordano allo spettatore che quello spettacolo appartiene al popolo, e così, ha inizio l’incendio del Campanile. “Ecco sta partenno sorece” si ode dalla piazza, il topo in italiano corretto, un razzo parte dal un terrazzo per colpire la nicchia delle campane e in un turbinio di esplosioni ha inizio l’incendio: delle piogge colorate rivestono l’intera mole del Campanile e illuminano a giorno la piazza, poi tra sbuffi di fuoco e scoppi si accende la croce in cima al campanile  e così, mentre infuria l’incendio, una stella luminosa va a prendere l’immagine della Madonna, che, salendo verso il campanile, doma e spegne le fiamme. A’ mamma rò carmene ha fatto il miracolo, non è paragonabile a quello di San Gennaro ma  la suggestione è ben diversa, si vive la napoletanità, quella verace, quella tramandata, quella che non si improvvisa quella che rende Napoli unica al mondo.

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    Piazza del Carmine, Napoli
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