Lo chiamarono Gigi Potter di Daniela Carelli

La città di Napoli, la fantasia di un bambino e la famiglia che tutto tiene unito

Gigi è un bimbo come tanti, ama leggere, conosce a memoria la storia di Harry Potter  e vive a Milano con la famiglia. La sorella gemella Ida, viziata e noiosetta, il padre Antonio e la madre Elvira, quest’ultima di Milano non ne vuole sapere, sogna di ritornare a Napoli (terra natìa sua e del marito) e vive aspettando il momento di ritornare a quella che per lei è Casa. L’occasione si presenta quando ad Antonio viene proposto di diventare custode del Maschio Angioino, tutta la famiglia fa così ritorno alle origini.

“Un treno potrebbe raccontare migliaia di storie, ma quella che interessa a noi riguarda una famiglia come tante, normale, che corre incontro a un futuro che di normale non avrà niente”.

Già raccontata così, la sinossi di “Lo chiamarono Gigi Potter” ha qualcosa di magico, ma vi assicuro che questo non è nulla. Daniela Carelli, scrittrice, compositrice e vocal coach, torna a parlare della sua città e lo fa col trasporto di chi la ama e l’accuratezza di chi la conosce.
Ma veniamo a Gigi, a questo protagonista che ti entra nel cuore e che ami già dalla prima pagina. Gigi ama Harry Potter, come dicevo, lo ama a tal punto da vedere similitudini tra la sua vita e quella del maghetto. Lo ama al punto da pensare che dietro le parole sibilline di un vecchio in treno ci sia Silente, che il piccione viaggiatore a cui dovrà badare sia la sua Edwige e che San Gregorio Armeno, la via dei presepi, sia Diagon Alley.
La famigliola, quindi, fa ritorno a Napoli per andare a vivere non in una residenza qualunque ma nel Maschio Angioino.

“I castelli sono vivi. Questa fu la prima sensazione che, prepotente e inaspettata, balenò nella mente di ciascun membro della nostra famigliola quando si ritrovò al centro del cortile monumentale, trasudante storia da ogni singola pietra, crepa, interstizio”.

Lo stupore della famiglia è tanto, tra mura secolari e torri impareranno a leggersi dentro ad amarsi ancora di più ma conosceranno anche la paura e l’impotenza nel contrastare le angherie e le brutture della città.
La storia è un omaggio alla città di Napoli, se ne avverte il calore e la maestosità ad ogni pagina che trasuda di chicche storico-artistiche e che rendono la narrazione meno stereotipata ( la passeggiata dalla stazione al Maschio Angioino è descritta benissimo ).

“Aveva la sensazione di essere stato richiamato a quel luogo, di avere sempre sentito quella voce, senza essere mai riuscito a darle un nome. Oggi sapeva a chi apparteneva: a Napoli.”

Ma la vera protagonista di questa storia è la famiglia, legame più forte di ogni pozione magica, filtro contro ogni dolore, corda che tiene uniti in una bolla di protezione. La famiglia raccontata da Daniela Carelli si ama in silenzio, si benedice con uno sguardo e si abbraccia con un sorriso, così il rito della conserva fatto tra le imponenti mura del Castello prende il sapore di un rito ancestrale in cui tutti i familiari sono invitati a contribuire con un ingrediente.

Un aspetto che ho molto apprezzato è l’importanza che questo libro dà alla lettura, Gigi vive situazioni “particolari” perché ha allenato la fantasia, accetta i cambiamenti e la curiosità lo porta a crescere e a interrogarsi sulle cose, Gigi non vive passivamente il passaggio all’adolescenza ma va incontro alla vita col suo bagaglio di incertezze pronte a trasformarsi in esperienza. Daniela Carelli senza pedanteria  tratta temi forti quali il bullismo, il razzismo , l’omosessualità e la tossicodipendenza attualizzando la storia senza caricarla di luoghi comuni e facili cliché.

Un libro positivo, piacevole, ben scritto e che mira a raccontare sentimenti genuini senza inseguire la moda del momento di stupire con manierismi e narrazioni contorte a riprova che anche una storia familiare può esser magica.

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