Il torrione dell’Incoronata e l’installazione della Rovner, così si sposano storia e arte contemporanea
La stazione della metro di Piazza Municipio (lato di via Medina) rientra tra le undici stazioni dell’arte della città di Napoli, dove anche le stazioni sono diventate, grazie ai recenti restauri e allestimenti, dei veri e propri musei pubblici. Le metro costituiscono un patrimonio di arte pubblica e architettura tra i più grandi al mondo, se solo si considera che nella sola linea 1 ci sono oltre 160 installazioni di oltre 100 artisti contemporanei internazionali protagonisti della storia dell’arte contemporanea a Napoli dal secondo ‘900 in poi.
Stazione Municipio è l’ultima, la più giovane delle stazioni dell’arte inaugurata da poco, 18ima della linea 1 e 11ima tra le stazioni dell’arte. Àlvaro Siza e Eduardo Souto de Moura sono i due architetti portoghesi della Scuola di Porto che ne hanno curato il progetto, maestri dell’architettura mondiale ed entrambi premi Pritzker per l’architettura.
Questa stazione si caratterizza rispetto alle altre stazioni dell’arte per un’estrema semplicità degli ambienti e delle linee architettoniche. Gli architetti hanno scelto dei rivestimenti in pietra lavica etnea, hanno prediletto il colore bianco, ma in questa apparente semplicità architettonica va riconosciuto una sapienza artigianale nel taglio delle pietre, nel disegno dei rivestimenti, persino nella posa degli angoli. Siza ha infatti voluto che non vi fossero spigoli vivi ma una sorta di curva naturale del marmo che crea una maggiore definizione nel rivestimento. L’architettura dei due, definita “modernismo poetico”, mostra una predilezione per le tinte chiare che migliorano la luminosità degli ambienti e l’uso della luce naturale, c’è infatti un grande lucernario al di sopra del pozzo di stazione per dare luce all’ambiente oltre a delle aperture a fagiolo sulle scale.
La stazione di Piazza Municipio sarà, una volta completati i lavori, un grande nodo di interscambio tra la linea 1, linea 6 e collegamento con la Stazione marittima.
La stazione è anche un grande luogo di comunicazione e relazione tra architettura contemporanea ed arte contemporanea. C’è la lunghissima installazione dell’artista israeliana Michael Rovner (immediatamente alle spalle del Torrione dell’Incoronata) lunga oltre 37 metri che si unisce alle preesistenze storiche emerse in maniera consistente durante i lavori di scavo per la realizzazione delle due stazioni.
Appartiene al periodo vicereale il grande Torrione dell’Incoronata, inglobato all’interno della struttura edilizia della stazione. I torrioni appartenevano alla ‘cittadella’ aragonese iniziata con Alfonso d’Aragona, cinta difensiva del Castel Nuovo successivamente ricostruita e modificata coi vicerè spagnoli nel primo quarantennio del ‘500. I torrioni erano tre: torrione del Molo, torrione dell’Incoronta, Torrione della Marina così come compaiono nel disegno del 1537-40 di Francisco de Hollanda visibile nel pannello predisposto dalla Soprintendenza Archeologica su un lato della struttura antica.
Quello che si vede nella stazione è il basamento a scarpa, di circa 40 metri di diametro. I torrioni servivano a difendersi dai nuovi modi di assedio alla città che cambiano per l’introduzione dell’artiglieria mobile tra la fine del‘400 inizi ‘500, cambiano le tecniche di assedio e nasce l’esigenza di avere dei nuovi sistemi difensivi detti “alla moderna o alla italiana”, con speroni più bassi, aperture delle bombardiere, bocche di fuoco che servivano per il tiro radente al fossato. Arrivati al periodo post unitario si decide che queste strutture debbano essere abbattute con l’intento di restituire a Castel Nuovo il suo originario isolamento rispetto alla piazza e alla città, coprendo le strutture difensive di epoca vicereale considerate non più funzionali.
Nell’atrio della stazione alla storia antica si coniuga anche l’arte contemporanea grazie all’opera della Rovner che ha scelto una installazione definita da Achille Bonito Oliva (il coordinatore artistico del progetto delle stazioni dell’arte) “un video affresco” perché le immagini direttamente disegnate sulla lunga parete con i colori ad acqua si fondono con le immagini proiettate dai 5 proiettori ad alta definizione posti sotto il soffitto. L’artista è partita dalla realtà per realizzare l’installazione, è partita dalla fotografia, da riprese video della città di Napoli e i suoi dintorni e poi ha lavorato per sottrazione, ha fotografato l’identità della città e con un lavoro progressivo ha restituito una sorta di immagine mitica del Vesuvio e delle immagini in movimento che non sono animazioni ma frutto di un paziente lavoro preparatorio. L’artista ha lavorato per oltre un anno riprendendo le persone, i ragazzini che giocavano, ha effettuato riprese a Gerusalemme e a Parigi al Museo del Louvre e partendo da queste ha popolato lo scenario del paesaggio con il Vesuvio.
Nel paesaggio sono inseriti degli elementi ripresi dalla storia dell’arte per esempio i due alberi sono ripresi da un libro del XVIII secolo comprato a Napoli in una bottega antiquaria e la casa deriva da un affresco degli scavi di Pompei. I fiori che si muovono per una leggerissima brezza, sono dei cardi ripresi sul Vesuvio in una giornata intera di riprese.