Un ballo antico che racchiude in sé una storia, mista a leggenda, legata alle radici dell’isola
“Ischia, dove si balla, si beve e si fischia”. Così recita un antico detto popolare, quanto mai attuale, se pensiamo a un ballo che si tramanda ancora oggi e che racchiude in sé una storia, mista a leggenda, legata indissolubilmente alle radici dell’isola napoletana: la famosa “’ndrezzata”.
Fatto sta che le origini di questa danza non sono molto chiare. Per alcuni, risalirebbe a un poemetto medioevale di tipo bellicoso e guerresco. Tuttavia, le origini del canto appaiono ben più remote, strettamente connesse al retaggio mitico della cultura greca che si era andata diffondendo a Ischia grazie ai primi coloni di Pithecusa.
Le fonti storiche disponibili sono due: un testo custodito nella Biblioteca Antoniana dell’isola, dove è citata “a Cecca – invito a vedere la Ntrezzata”, un’ode del 1600 di Filippo Sgruttendio, in voga nel beneventano, e un manoscritto, rinvenuto nella sagrestia della Chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, una frazione del comune di Barano d’Ischia, in cui si racconta dell’intervento del Vescovo al fine di dirimere una controversia tra gli abitanti della contrada di Buonopane e quella di Barano.
La vicenda vuole che due uomini, Rocc’none di Barano e Giovannone di Buonopane, corteggiassero la stessa donna. Rocc’none era un marinaio e in uno dei suoi viaggi aveva acquistato una fusciacca per farne dono all’amata. Poichè nessun altro possedeva quella fusciacca, quando l’innamorato vide Giovannone indossarla, lo sfidò a risolvere la faccenda tra uomini presso il ponte che divide i due paesi.
Il primo costume fu realizzato nel 1930: inspirato ai pescatori, era fatto di un tessuto povero e, per risparmiare la stoffa, le maniche delle camicie furono cucite al panciotto di tela, assicurato da una doppia fila di bottoni. I pantaloni arrivavano sotto le ginocchia, con stringhe allacciate all’estremità e, per completarlo, venivano calzati sandali di cuoio.
Un altro mito, sempre legato alla ‘ndrezzata, racconta che Zeus, un giorno, trovò Demetra furibonda e disperata perché Ade, dio dell’Averno, le aveva rapito la figlia Persefone.
Mosso da pietà verso la povera madre, il capo degli dei le inviò le Muse e Afrodite per placarne l’animo, allietandola con musica e danze. Tradizione vuole che la danza fosse praticata dalle Ninfe al ritmo di spade di legno battute dai Satiri su rudimentali manganelli che accompagnavano la melodia prodotta dalla cetra d’oro di Apollo.
Apollo, pizzicando la cetra, si innamorò della ninfa Coronide e dall’unione dei due nacque Esculapio. Appagato dall’amore con la ninfa, il dio concesse alla sorgente Nitrodi, lì dove si svolgevano le danze, la proprietà di offrire bellezza e guarigione.
La cultura della danza si diffuse ben presto in tutta l’isola, trovando terreno fecondo presso la sorgente di Nitrodi a Buonopane, vicino Barano, zona agricola sul versante sud-orientale di Ischia.
Per via di tutti questi elementi carichi di fascino, mistero e leggenda, la ‘ndrezzata non può essere considerato un semplice ballo, ma è da riternersi un vero e proprio rito, composto da tre fasi distinte: la sfilata, la predica e la danza.
Ciascuno dei 18 danzatori tramanda ai propri discendenti i segreti della danza e il privilegio di parteciparvi. Durante la sfilata, metà dei danzatori entra in scena con un giubbetto di colore rosso, che rappresenta gli uomini, mentre l’altra metà indossa un corpetto verde che simboleggia le donne. Alla testa del gruppo sfila il caporale, al suono di due clarini e due tammorre, un tempo flauti e fischietti.
Al termine della sfilata i gruppi di danzatori formano due cerchi concentrici, impugnando, proprio come i fauni della leggenda, un mazzariello nella mano destra e una spada di legno in quella sinistra.
Agli ordini del caporale e al ritmo dei suonatori parte la danza, che ricalca le mosse di base della scherma: saluto, stoccate, parate e schivate.
All’interno della danza due sono le figure fondamentali: la formazione della rosa con l’intreccio delle mazzarielle a mani alzate e l’elevazione su di essa del caporale, che in antico dialetto ischitano recita la parte narrata (predica): le strofe sono dedicate all’amore, alla paura dei saraceni, alle fughe sul Monte Epomeo, alla difficoltà del lavoro nei campi e alla A vattut´ e ll´ astreche, cioè alla costruzione del tetto bombato in pomice e calce delle abitazioni di Ischia e Procida.
Per ammirare questa danza l’appuntamento principale è la festa di San Giovanni Battista a Buonopane, frazione di Barano d’Ischia, alla fine di giugno.