
“Spalla? No, sono stato il sostegno del Principe”
Mille volti, mille voci. Un solo nome: Carlo Croccolo. Geniale e poliedrico, l’attore napoletano ebbe il gran privilegio d’essere l’unico a cui Totò concesse di doppiarlo.
Croccolo è nato a Napoli nell’aprile del 1927. Ha lavorato, fianco a fianco, con tutti i protagonisti del cinema, del teatro e anche della musica italiana. Una personalità strabordante, difficile da incasellare, un uomo libero con l’affascinante tendenza a prendere in giro i luoghi comuni e le fissazioni della critica e del mondo dello spettacolo.
Iniziò da doppiatore, dopo la Guerra. Prestò la sua voce persino a Oliver Hardy, Ollio.
Con De Curtis ha debuttato, al cinema, in Totò Sceicco, del 1950. E fu subito un successore. Croccolo era il cameriere che ammaniva “birra e salsicce” al maggiordomo Antonio Sapone (Totò) che, invece, voleva arruolarsi nella Legione Straniera per seguire il signorino Gastone, interpretato da Aroldo Tieri.
Nei panni del cameriere, anzi del domestico, Croccolo scrive alcune delle pagine più divertenti della sua e della carriera del Principe. È il cameriere Godrano in “47, Morto che parla”, a cui Totò, avarissimo barone Antonio Peletti, rinfaccia la scialacqueria “E io pago”.
Dieci anni dopo, Croccolo è ancora un domestico, una volta ancora al servizio di un barone. Ma stavolta, in “Signori si Nasce” è Battista, il padrone è il barone Zazà, Ottone degli Ulivi, mani bucate, tanto prodigo quanto povero alle prese con un creditore irriducibile e un fratello, Pio (interpretato da Peppino De Filippo), avido e gretto.
Il rapporto tra Croccolo e Totò divenne professionalmente più stretto sulla soglia degli anni ’60 quando iniziò a doppiarlo. Era l’unico di cui si fidasse, Totò, la cui malattia agli occhi, ormai, andava peggiorando sempre di più. Lo aveva sentito nel doppiaggio in francese della versione transalpino di “La legge è legge”, interpretato con il grande Fernandel, l’inconfondibile maschera resa celeberrima dal personaggio di Don Camillo.
Carlo Croccolo ha attraversato tutte le pagine del cinema e del teatro partenopeo. Lavorò con Eduardo De Filippo che gli negò la parola per anni perché, poi, rifiutò una parte in una sua commedia. Gli rimproverò sempre la mancanza di “cazzimma”, per questo – gli diceva – non sarebbe mai diventato un grande attore.
Declinò, Croccolo, un ruolo che gli era stato offerto da un ancora emergente Federico Fellini. Prese parte, invece, al film “E li chiamarono…briganti!” (1999) del regista scomodo e visionario che fu Pasquale Squitieri, con Enrico Lo Verso, Remo Girone e Claudia Cardinale. La storia del film è abbastanza tormentata e ancora oggi non se n’è venuti a capo: il soggetto della pellicola, vita e opere di Carmine Crocco, brigante lucano negli anni immediatamente successivi al 1861, era sicuramente rivoluzionario e ha anticipato (al cinema) le istanze meridionaliste di revisione nel racconto storico del Risorgimento e dell’Unità d’Italia.
In una delle sue ultime uscite pubbliche, intervistato da Repubblica, rifiutò recisamente la definizione di “spalla”: “La spalla la vendono in macelleria. Diciamo che ho fatto l’attore di sostegno. Ho sostenuto Totò, anche umanamente” – disse.