Il mistero della dama: il Castello di Stabia

Il racconto nato dall’assalto del 1459 alla fortezza stabiese, punto focale della difesa costiera, tra mito ed esoterismo

Si dice che solamente attraverso una presenza misteriosa legata alla “congiura dei baroni”, il Castello Medievale di Castellammare sia stato espugnato dalle forze nemiche. Una sorta di fantasma che vaga all’interno del castello: molti sono i testimoni che affermano di averla vista più volte dinanzi all’ingresso come in attesa di qualcuno. Chi dice di averla vista parla di una donna di mezza età, molto bella, con le labbra piegate in un sorriso amaro, quasi un ghigno.

Questa presenza sarebbe riconducibile ad un episodio storico accaduto nel lontano 1459, durante il regno di Ferrante I d’Aragona: ebbene, questa castellana, il cui nome pare essersi smarrito nel corso dei tempi, aprì le porte del castello – difeso dal provenzale Gaillard – alle truppe di Giovanni d’Angiò, figlio di Renato, che in tal modo poterono conquistarlo senza subire perdite.

Questo perché la donna si era innamorata perdutamente di uno dei soldati che militavano tra gli assalitori, al punto di riuscire ad aprire un varco nel cuore della castellana e una breccia tra le mura del Castello. Ma il cavaliere, per cui lei era giunta al tradimento – forse sposato -, respinse le sue attenzioni, lasciandola in un profondo stato di delusione e depressione. Rifiutata in amore ed evitata ormai da tutti a causa del suo vile tradimento, non le restò che togliersi la vita, avvelenandosi poco tempo dopo.

I fenomeni più inquietanti avverrebbero nella camera da letto, che, ironia della sorte, è conosciuta come “la camera degli angeli”: si dice che qui si avverta una strana forza , misteriosa ed ostile, tale da costringere alla fuga.

Ora il castello si erge sulla collina di Pozzano, circondato da un rigoglioso parco di olivi e si affaccia sul golfo di Castellammare di Stabia, imperioso, fino al Vesuvio. Il Castello Medioevale di Castellammare di Stabia in provincia di Napoli fu costruito nel IX secolo dal duca di Sorrento: in uso dalla fine del X al XVIII secolo, è stato restaurato alla fine degli anni ’30 dopo un periodo di abbandono, viene attualmente usato per cerimonie e meeting e non è visitabile.

Sulle origini di castello, situato a circa cento metri d’altezza, alle pendici del monte Faito, non esistono dati certi, ma solo alcune supposizioni: i primi studiosi collocarono il periodo della sua costruzione durante la dominazione angioina, in particolar modo sotto il regno di Carlo I d’Angiò: forse è per questo motivo che la struttura viene erroneamente chiamata Castello Angioino. In quel periodo, infatti, era già esistente, così come nel periodo di Federico II di Svevia, presenza attestata da alcuni documenti del periodo, che parlavano di un certo “Castrum Maris de Surrento” bisognoso di urgenti riparazioni.

Ebbene questo castello fu di grande importanza per la città: all’interno venivano ospitati i vescovi della diocesi, assieme a grandi letterati dell’epoca, come Giovanni Boccaccio. Fu in seguito restaurato ed ampliato prima da Federico II di Svevia e poi da Carlo I: probabilmente in tale periodo fu notevolmente modificato e strutturato in modo tale da poter ospitare le nuove armi da fuoco. Nel ottobre 1459 il castello fu ceduto a Giovanni II di Lorena e nel 1461 resistette all’attacco sferrato da Antonio Piccolomini, duca di Amalfi. Con l’avvento di Alfonso II d’Aragona, nel 1470, assunse la conformazione definitiva e all’inizio del XVI secolo fu costruito il rivellino, sul quale venivano posizionati i cannoni: divenne in tale periodo la principale struttura militare della zona. Quando la città divenne feudo dei Farnese, il castello fu sede di una guarnigione di soldati mercenari e nella base del torrione venne ricavata una prigione, chiamata “La Papiria”. A partire dal XVIII secolo, quando perse la sua funzione difensiva, fu abbandonato, trasformandosi in rudere: tuttavia la sua posizione panoramica sul golfo di Napoli, ispirò diversi artisti come quelli appartenenti alla scuola di Posillipo, che lo ritrassero nelle loro opere.

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