San Sebastiano al Vesuvio, capitale del “cafone”
Alle pendici del Vesuvio, si tramanda di padre in figlio, un’antica tradizione: quella del pane “cafone”. A San Sebastiano al Vesuvio, un paese ai confini con Torre del Greco e a pochi chilometri da Napoli, quella della panificazione non è soltanto un’attività, ma una vera e propria cultura. Le sue origini risalgono al settecento, in quegli anni, negli antichi conventi, erano già presenti i forni. In particolare si ricorda il convento in Via Monaco Aiello, dove i frati che vi abitavano, fornivano il pane per la casa reale dei Borbone.
Il pane di San Sebastiano, nel XIX secolo, era il pane dei contadini, dei braccianti e dei carrettieri e veniva preparato con il grano di Volla. A questi signori, interessava principalmente che il loro companatico, conservasse a lungo profumo e sapore.
Il pane cafone riuscì nella difficile impresa, esso infatti, conserva ancora oggi, la stessa bontà e consistenza anche dopo diversi giorni. Fu così che venne ribattezzato con il nome “pane otto giorni”. Il segreto è nascosto nella sua lievitazione. I maestri panettieri, utilizzano gli stessi ingredienti, tempi e metodi da anni. La lievitazione avviene in maniera naturale con il criscito, ovvero acqua farina e impasto delle precedenti infornate. Alcuni panettieri utilizzano la stessa “madre di criscito” da sessant’anni, rinnovando ogni giorno l’impasto con farina e sale. La cottura racchiude un altro piccolo segreto.
Essa viene eseguita solo quando il processo di lievitazione è al culmine ed è fatta con fascine di castagno raccolte nell’area vesuviana. Infornare i pezzi di pane in quel preciso istante, consente la fuoriuscita dell’anidrite carbonica e la conseguente formazione, sia del rigonfiamento del pane sia della crosta. La crosta scura e croccante e la mollica profumata sono le sue caratteristiche principali. L’acqua utilizzata è codificata e proviene dalla sorgente di Serino. Per i maestri di San Sebastiano, una particolare attenzione, deve essere rivolta anche al forno. Esso è realizzato con le pietre di Sorrento, le quali mantengono il calore e trattengono i profumi. Il pane otto giorni costa poco, dura tanto ed è buono anche per chi è intollerante al lievito di birra.
Negli anni, diversi paesi limitrofi, si sono arresi all’utilizzo delle macchine per la lavorazione del pane. Quella dei “panizzatori di San Sebastiano”, è una tradizione, che non deve il suo successo all’utilizzo di congegni meccanici, ma all’esperienza e all’attenzione di chi lavora il pane a mano e ne conosce tempi e segreti. Oggi, in via Monaco Aiello, risiede uno dei maggiori punti di riferimento per l’acquisto del pane di San Sebastiano: il panificio Doc di Domenico Filosa. Grazie alla sua dedizione e al suo coraggio, il Filosa è riuscito a tenere viva e pulita la tradizione del pane otto giorni, denunciando nel tempo, il grande numero di panifici illegali presenti nella provincia di Napoli.