Perché la Gioconda potrebbe essere una dama napoletana?

Marco Perillo risponde a questo e ad altri cento “perché” nel suo ultimo libro

La “Gioconda”, il celebre quadro di Leonardo da Vinci esposto al Louvre di Parigi che da anni richiama migliaia di visitatori, secondo l’autorevole testimonianza del pittore e architetto aretino Giorgio Vasari, autore del “De Vitae”, una serie di biografie di artisti pubblicata a Firenze nel 1550, dovrebbe ritrarre Lisa Gherardini, terza moglie di Francesco del Giocondo, nobile mercante fiorentino, che aveva commissionato a Leonardo il quadro, probabilmente per festeggiare la nuova casa e la nascita del secondo figlio.

Tuttavia, negli anni sessanta del secolo scorso, Pulitzer, un antiquario inglese, diede una versione che stravose completamente la storia.’antiquario affermava che la Monna Lisa che noi tutti conosciamo era, in realtà, Costanza d’Avalos, nobildonna napoletana, figlia di Innico d’Avalos, machese del Vasto, nota alla storia per aver difeso con coraggio, nel 1503, l’isola d’Ischia dall’assalto dei francesi.

Versione che Marco Perillo, scrittore e giornalista partenopeo, riprende in “101 perché sulla storia di Napoli che non puoi non sapere” – il suo ultimo lavoro edito da Newton Compton Editori – una raccolta delle tante curiosità e aneddoti del passato, che servono però a interpretare il presente della città. E poiché Napoli è un universo in cui ogni domanda può trovare risposta, allora è lecito anche chiedersi: “perché la Gioconda potrebbe essere una dama napoletana?”

Costanza, che conosceva la letteratura italiana e latina e aveva addirittura scritto un poema sulla tragica morte del fratello Alfonso, era l’amante di Giuliano de’ Medici che, spinto dalla passione, aveva presumibilmente chiesto a Leonardo un quadro che ritraesse la sua adorata, una delle dame più belle, più ammirate e celebrate del Rinascimento Italiano.

Ora, poiché Giuliano era stato costretto a sposare Filiberta di Savoia, il quadro restò a Leonardo che lo portò con sé in Francia custodendolo nel suo studio presso il Castello di Claux.

Ad avvalorare questa tesi, Giovanni Paolo Lomazzo, pittore e trattatista del Rinascimento Italiano, citando Leonardo nel suo “Trattato dell’Arte e della Pittura”, parla di “opere finite, come la Lena ignuda e la Monna Lisa napoletana”.

Quanto al lavoro commissionato dal Giocondo, pare che questo fosse rimasto incompiuto e, una volta estinta la famiglia, fu portato nel XVIII secolo in Inghilterra passando tra le mani di vari mercanti fino a diventare proprietà dello stesso Pulitzer.

Mito, racconto, finzione o leggenda? Perillo non risolve la questione, non è questo il suo compito, ma indaga e illustra, con dovizia di particolari, quello che “potrebbe essere”, perchè l’unica risposta risiede tutta lì, nel sorriso enigmatico di Monna Lisa, eterna custode di una verità che l’ha resa e continuerà a renderla immortale agli occhi del mondo.

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