
La storia della celeberrima canzone presentata al Festival di Napoli del ’66 in coppia con Giorgio Gaber
Meglio di un brillante ‘e quinneci carati, la pizza, cioé l’arte dei pizzaioli, è finita dritta nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Ne sarebbe stato felice Aurelio Fierro, il popolare cantante partenopeo che proprio alla pizza dedicò una canzone che, in breve, sarebbe diventata un’autentico inno nazionalpopolare.
‘A pizza è la canzone che Fierro presentò al Festival di Napoli del 1966, in una stranissima coppia: insieme al milanese Giorgio Gaber. Loro si fermarono al secondo posto, dietro a Bella del grande Sergio Bruni, ma il successo della loro canzone non si fermò mai, attraversò radio, strade, tabarin e tv, divenne in breve un tormentone che seppe trasformarsi in un pezzo del patrimonio musicale e culturale napoletano e italiano, amatissimo e conosciutissimo da tutti.
Leggera, spensierata, gioca sui garbati doppi sensi di un innamorato pronto a far follie per la sua innamorata, pronto a offrirle gioielli, cene eleganti a base di cefali arrustuti, matrimoni faraonici coronati dallo sfarzo di torte a cinque piani. Cose che a lei non interessano, perché solo una cosa le piace davvero: vuole solo ‘a pizza c’a pummarola ‘ncoppa. Le parole erano di Alberto Testa, che collaborò con Mogol e scrisse testi per Tony Renis e Mina; la musica, invece, era di Giordano Bruno Martelli.
Aurelio Fierro portò ovunque quella canzone, insieme a tutto il suo scintillante e amatissimo repertorio in cui c’erano pezzi indimenticabili e altrettanto nazionalpopolari, come, ad esempio, la famosissima Guaglione. Dalla televisione internazionale fino alle tournée teatrali laggiù in Giappone. Poi decise di trasformare quella hit in un’autentica pizzeria che, dopo l’apertura di un ristorante nel 1986 nel centro storico di Napoli, avviò a Santa Maria La Nova. E che porta nel suo nome del refrain che decretò il successo irresistibile della canzone: “Ma tu vulive ‘a pizza”.