
Un tempo i contadini si recavano sul luogo per chiedere la grazia dal cielo, oggi vi sorge la Chiesa di San Giovanni e Paolo
Se avessimo voluto raggiungere i casali di Caserta fino ai primi anni dell’Ottocento avremmo dovuto compiere una scelta: o percorrere la Strada Nuova di Capodimonte, più lunga ma meno ripida, oppure arrampicarci sulla collina di Poggioreale passando per Via Foria, in una zona estremamente impervia.
Fu così che nel 1812 re Gioacchino Murat ordinò di costruire una strada, ampia e con tornanti, che portasse al Campo di Marte, così chiamato perchè lì si svolgevano le esercitazioni militari e che corrisponde all’attuale Capodichino. In questo modo era più semplice arrivare nel casertano. La nuova arteria prese il nome di Calata Capodichino ed iniziava da Piazza Ottocalli.
Si era sicuramente addolcita la salita, ma rimaneva comunque difficoltosa da percorrere, si poteva contare però su un aiuto. A Piazza Ottocalli c’era un servizio di cavalli o buoi a seconda del bisogno: venivano con delle tirelle attaccati al veicolo che così era trainato fino in cima. La Piazza era una delle sedi di queste stazioni e pare che debba il suo nome appunto ai cavalli che qui si noleggiavano.
Siccome nella Piazza c’erano sempre otto cavalli di posta, per corruzione della parola divennero otto calli. A sostegno di questa tesi c’è il fatto che i carrettieri dicevano, caallo al posto di cavallo. In epoca borbonica c’erano in uso molte monete: piastre, carlini, tornesi, grane e poi piccole monetine chiamate cavalli, perchè sopra una delle facce vi era impresso un cavallo. La tariffa per il traino era di otto cavalli e poichè queste monetine erano chiamate calli, il luogo divenne la Piazza degli otto calli, abbreviata ulteriormente in Ottocalli.
Sullo slargo prospetta la facciata della moderna Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, martiri del VI secolo. L’antichissimo culto arrivò a Napoli nei primi secoli del cristianesimo, avevano ben tre chiese a loro dedicate in città. Davanti questa piazza esisteva una colonna dove i contadini si recavano in processione per chiedere la grazia dal cielo. Se si voleva buon tempo, si girava da sinistra verso destra, se si desiderava la pioggia, il contrario. Nel 1590 l’Arcivescovo di Napoli Annibale De Capua fece abbattere la colonna considerandola una forma di paganesimo e fece costruire una Chiesa dedicata ai Santi Giovanni e Paolo, considerati protettori contro le avversità atmosferiche.
Della colonna non c’è più traccia ma al suo posto c’è un busto del tenore Enrico Caruso: nella vicina Via Santi Giovanni e Paolo 7 c’è la sua casa natale, recentemente trasformata in museo grazie all’instancabile opera di Gaetano Bonelli, già direttore del Museo di Napoli nella Casa dello Scugnizzo a Mater Dei.