Quando lo zio di Alessandro Magno conquistò l’antica Paestum

La sfortunata campagna d’Italia di Alessandro il Molosso iniziò con una sfolgorante vittoria sulle sponde del fiume Sele

Sulle sponde del fiume Sele, antico confine naturale tra la Campania e le terre dei Lucani, si combatté una battaglia tra greci e italici per il controllo del Mezzogiorno.

Attorno al 334 avanti Cristo, il re dell’Epiro, Alessandro I, detto il Molosso, recuperò Paestum, città che un tempo era stata Poseidonia e, per un attimo, giunse a ristabilire il predominio ellenico sull’Italia antica. Ma fu un’illusione effimera che si spense quando la realtà avverò il terribile vaticinio dell’Oracolo di Giove a Dodona.

Alessandro I d’Epiro non era un sovrano qualsiasi. Era lo zio di un altro grandissimo re, che diventerà ben più famoso. Così tanto da suscitare rispetto, stima e fascinazioni non solo nella cultura grecoromana ma persino in quelle asiatiche e mediorientali, giungendo a conquistarsi un posto d’onore persino nella cultura islamica: Alessandro Magno di Macedonia.

Mentre il nipote, figlio della sorella Olimpiade che aveva sposato Filippo di Macedonia, conduceva le campagne che ne decreteranno la grandezza, Alessandro il Molosso sbarcò in Italia alla testa di un importante esercito. Lo avevano “convocato” i Tarantini per mettere un freno all’espansione di Sanniti e Lucani che minacciavano di ridimensionare il potere e il prestigio delle città della Magna Grecia.

Le truppe epirote condussero, come racconta Tito Livio nell’ottavo libro della sua monumentale Storia di Roma, una campagna che si protrasse fino al 331 a.C., quando il re fu sconfitto e ucciso per mano di un ostaggio lucano.

La sua campagna fu, almeno all’inizio, fulminante. Tra le prime battaglie ce ne fu una di alto valore simbolico, oltre che strategico, che si consumò sulle sponde del fiume Sele.

I Lucani presero Poseidonia poco meno di un secolo dopo la sua fondazione, avvenuta per volontà dei Sibariti. Le tolsero l’indipendenza e le cambiarono nome: diventò così Paestum. Alessandro d’Epiro, nel 334 a.C., la conquistò “restituendola” alla comunità delle città greche in Italia.

Fu una vittoria strategica che giovò ancor di più a una potenza che proprio in quel tempo stava ponendo le basi della sua grandezza. I Romani, che temevano la guerra con i Sanniti, furono alquanto sollevati quando li videro “costretti” a impegnarsi a fondo per contrastare i soldati giunti dall’Epiro. Questi, infatti, scesero immediatamente in campo a soccorso dei Lucani e degli Iapigi e furono impegnati in una guerra lunga e defatigante che si concluse solo tre anni dopo.

Subito dopo quella battaglia, i Romani sottoscrissero un trattato con il re straniero ma giusto per prendere tempo. Tito Livio, infatti, fa notare quanto fosse “dubbio che sarebbe stato rispettato se solo la sua campagna avesse avuto esito vittorioso”.  

L’esito, infatti, fu tutt’altro che glorioso e ben lontano dai fasti arrisi al ben più celebre nipote omonimo. Alessandro il Molosso, come ebbe a predirgli l’oracolo di Giove a Dodona, fu ucciso là dove l’acqua del fiume Acheronte lambiva il territorio della città di Pandosia, che oggi si chiama Castrolibero, nell’attuale Calabria.

Il sovrano ebbe giusto il tempo di sentire un suo soldato maledire il fiume che il suo esercito stava tentando di guadare (“Ben ti chiamano Acheronte!”) che un giavellotto, scagliatogli contro da uno dei duecento lucani presi in ostaggio durante la campagna, lo ferì mortalmente. I suoi resti furono, racconta Tito Livio, orrendamente mutilati dalla corrente del fiume e dalla furia dei suoi nemici che lapidarono le sue spoglie. 

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