
Un tesoro invisibile, sotto gli occhi di tutti
La Chiesa di San Giovanni a Carbonara costituisce un raro esempio dello splendore della Napoli Angioina. Sorge in quella che in epoca medioevale fu il Carbonarius Carbonetum, la zona posta al di fuori delle mura cittadine, adibita a sversatoio di liquami. Qui si svolgevano anche giostre equestri e sanguinosi tornei, per il diletto di nobili e sovrani. La costruzione della chiesa iniziò nel 1339 per volontà di Gualtiero Galeota, ma fu nei primi anni del 1400 che raggiunse il suo massimo splendore, grazie a Ladislao di Durazzo. La Chiesa è priva di facciata, poichè nel ‘500 venne distrutta per realizzare la Cappella di Somma. L’accesso avviene nella parte laterale, attraverso una scenografica scala in piperno a doppia rampa, realizzata da Ferdinando Sanfelice.
Il portale tardo gotico di fattura napoletana, è sormontato da una lunetta in cui vi sono tracce di un affresco raffigurante Sant’Agostino e San Tommaso, di Leonardo da Besozzo. Ai lati vi sono due nicchie, oggi vuote, che ospitavano una Madonna con Bambino ed una Santa Caterina in terracotta. Appena entrati l’attenzione viene catturata dal maestoso sepolcro di Ladislao di Durazzo, sovrano di Napoli dal 1386 al 1414, commissionato da sua sorella Giovanna II che gli successe al trono. Ladislao tentò di unificare l’Italia, con Napoli Capitale. A questo progetto dedicò interamente la sua breve vita, ma non ebbe il tempo di portarlo a termine poichè morì a soli 38 anni, forse avvelenato.
Il sepolcro, alto quasi 18 metri, è stato attribuito ad Andrea da Firenze, ma probabilmente vi lavorarono più artisti. Il primo ordine presenta quattro cariatidi, ognuna personificazione di una virtù. Partendo da sinistra vi sono Temperanza, Fortezza, Prudenza e Magnificenza. Il secondo ordine si sviluppa in tre arcate, una centrale a tutto sesto in cui troviamo Ladislao e Giovanna II seduti in trono, e due laterali ad ogiva in cui vi sono altre personificazioni di virtù. Sulla cassa sepolcrale, appaiono di nuovo Giovanna e Ladislao, circondati dai familiari. Sull’arca vi è la figura giacente del sovrano, con San Ludovico da Tolosa nell’atto di benedirlo, su precisa richiesta di Giovanna che intendeva rivalutare la figura del fratello, morto scomunicato. In cima tra due pennacchi, la statua equestre di Ladislao con la spada sguainata.
Al lato dell’altare maggiore, una Crocifissione di Vasari, realizzata a Roma nel 1545 su commissione del Cardinale Seripando.
Attraverso il sepolcro di Ladislao si giunge nella Cappella Caracciolo di Sole, costruita per volontà di Sergianni Caracciolo, Conte di Avellino e Marchese di Venosa, amante e favorito della regina Giovanna II. Sergianni riposa in un sepolcro commissionato da suo figlio Troiano, dopo che nell’Agosto del 1432 fu assassinato su ordine della stessa Regina. Cinque statue di virtù reggono la cassa sepolcrale, decorata con due geni alati che sorreggono lo stemma della famiglia e su cui è la figura eretta del defunto. La cappella sorprende soprattutto per la decorazione pittorica, datata alla prima metà del XV secolo, e divisibile in tre diversi ordini. Un primo, attribuito a Perinetto da Benevento, sviluppato nella parte bassa con motivi geometrici e sei scene rettangolari con storie eremitiche di padri agostiniani. Un secondo ordine, si sviluppa nella controfacciata ed è attribuito a Leonardo da Besozzo, il quale ha realizzato cinque scene della vita della Vergine. Sulla porta un’unica grande rappresentazione dell’Incoronazione, a sinistra troviamo Natività ed Annunciazione, mentre a destra Morte della Vergine e Presentazione al Tempio. Questi affreschi costituiscono un importante documento iconografico della Napoli del ‘400, poichè Besozzo, aprendosi agli influssi fiamminghi, inserisce elementi di usi e costumi dell’epoca. Nella scena della Natività appaiono anche Sergianni, rappresentato sulle scale con cappello e veste blu, mentre accanto alla donna che tiene in braccio Maria troviamo sua moglie Caterina Filangieri ed il piccolo Troiano. L’uomo all’estrema sinistra, con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, sarebbe poi lo stesso Besozzo. Le fasce delle pareti restanti, sono decorate con figure di Santi, attribuiti ad Andrea da Fabriano.
Il pavimento è impreziosito da maioliche di manifattura locale, realizzate nella prima metà del XV secolo, con motivi zoomorfi e fitomorfi. Tornati nella navata principale, a destra dell’altare si apre la Cappella Caracciolo di Vico, commissionata nel 1514 da Galeazzo Caracciolo, come celebrato da un’epigrafe posta nella parte sinistra dell’ingresso. Tra i sepolcri degli esponenti della famiglia Caracciolo, spicca l’altare realizzato dagli scultori spagnoli Diego de Siloe e Bartolomeo Ordoñez. Al primo è attribuito il Cristo morto nel basamento, al secondo la scena dell’Epifania nella parte centrale. La cupola della cappella è decorata con otto statue in gesso di Apostoli, attribuiti alla scuola di Giovanni da Nola. Proseguendo sul lato destro della Chiesa, si incontra il maestoso Altare Miroballo, realizzato alla fine del ‘400 ed attribuito a Jacopo della Pila e Tommaso Malvito. Fu comissionato da Antonio Miroballo, capostipite di una importante famiglia di banchieri, vescovo di Lettere, e presidente della Regia Camera Sommaria. La visita termina nella Cappella di Somma, aggiunta successivamente e per la cui realizzazione venne demolita la facciata. La decorazione pittorica è di un anonimo artista napoletano della seconda metà del XVI secolo. L’altare, attribuito a Domenico D’Auria, è decorato con una Ascensione della Vergine. Di fronte l’ingresso, il sepolcro di Scipione di Somma, committente della cappella e consigliere di Carlo V. Al centro del soffitto spicca l’occhio inscritto nel triangolo, dedicato alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo, evidente richiamo alla massoneria.
A cura di Alessia Crocifoglio