Teatro. “Te piace… Eduardo”

L’omaggio di ecampania.it al genio del teatro

Eduardo De Filippo ancora oggi cosi amato e così attuale. Quello che vi proponiamo oggi è un viaggio tra le commedie di Eduardo, quelle che ogni buon napoletano e amante del teatro ha visto almeno una volta nella vita e se siete tra quelli che non avete mai avuto il piacere di visionare Il primo spezzone che vi consigliamo è quello della celebre scena di “Questi Fantasmi” quando affacciato al balcone Eduardo “discute” con il suo dirimpettaio “fantasma” sulla bontà del caffe e suoi metodi di preparazione:

Come non ricordare “Napoli Milionaria” ed in particolar modo la scena di quando Gennaro (Eduardo De Filippo) parla con il maresciallo e cerca di convincere il figlio a non commettere il furto che potrebbe costargli la galera:

Di chi era il sogno in “Non ti pago”? Quando Eduardo si rifiutava di riconoscere una vincita al bancolotto di un suo dipendente:

Ditegli sempre di si”. Michele, appena uscito dal manicomio, torna a casa dove lo attende la sorella Teresa, che è la sola a conoscere i suoi trascorsi di pazzia. Michele sembra guarito, ma prende alla lettera tutto ciò che gli viene detto e, credendo che la sorella voglia sposare Don Giovanni, suo padrone di casa, ne parla alla figlia Evelina. Al pranzo di compleanno dell’amico Vincenzo Gallucci, un altro equivoco viene generato da Michele che invia un telegramma al fratello di Vincenzo per annunciare la morte dell’amico. Nel finale, la pazzia di Michele torna a farsi più evidente: diffonde la falsa voce che il giovane Luigi, il corteggiatore della figlia di don Giovanni, è pazzo, e quindi cerca di tagliare la testa al povero giovane, per guarirlo.

“Il Sindaco del Rione Sanità” Come racconta lo stesso Eduardo il personaggio centrale del dramma è stato ripreso dalla vita reale: “Si chiamava Campoluongo. Era un pezzo d’uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come si dovevano comporre vertenze nel rione Sanità. E lui andava. Una volta ebbe una lite con Martino ‘u Camparo, e questo gli mangiò il naso. Questi Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere, erano mobilieri. Veniva sempre a tutte le prime in camerino. ‘Disturbo?’ chiedeva. Si metteva seduto, sempre con la mano sul bastone. ‘Volete ‘na tazza ‘e cafè?’. Lui rispondeva «Volentieri». Poi se ne andava”.

“Le Voci di Dentro”, in quest’opera ritorna il tema dell’ambiguità di rapporto fra realtà e sogno. Il filo conduttore di questa commedia, forse la più amara scritta da Eduardo, è l’incomunicabilità simboleggiata dallo zi’ Nicola, l’enigmatico personaggio che per disillusione delle cose umane ha rinunciato a parlare preferendo esprimersi con una sorta di “Codice Morse” dove i punti e le linee sono lo scoppio di petardi.

Una delle sue opere più celebri e senz’altro “Natale in Casa Cupiello” e la sua battuta più famosa “te piac o presep”:

“Uomo e Galantuomo”. La commedia offre allo spettatore una serie di episodi irresistibilmente comici. Uno in particolare, quello della prova della compagnia. La prova si svolge nell’atrio dell’albergo ed inizia con Gennaro che emette un lamentoso e terribile gnaulio accompagnato da una smorfia che gli stravolge il viso e dal movimento di un braccio che si agita nell’aria. Gli attori si precipitano a soccorrerlo, convinti che sia stato colpito da un malore, ma scoprono che invece, da vero artista, Gennaro stava imitando l’apertura della porta cigolante del “basso” in cui si svolge il dramma.

“L’Oro di Napoli”. L’arte del pernacchio classico come la intendeva Eduardo De Filippo.

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