Murales, palazzi liberty e lanterne borboniche
Via Toledo è un raggio infinito che emana calore umano. All’angolo con via Trinità degli Spagnoli individuo, sopra la mia testa, l’ultima lanterna di epoca borbonica solitaria e “stanca”, cimelio storico caduto nell’oblio e fagocitato da cartelli pubblicitari e insegne luminose. Eppure, zitta zitta, quella lanterna sembra voler illuminare altra via, o meglio altre vie alle sue spalle, vicoli e vicarielli che si intersecano e salgono all’infinito. Come insetti, cercano luce e aria dalla collina che le sovrasta. Sono i quartieri spagnoli. Groviglio di palazzi nobiliari e bassi, chiese e altarini, ambulanti e negozi di ogni genere, fruttivendoli e pescivendoli, pizzerie e friggitorie, bandiere, panni stessi e murales. Un “horror vacui” moderno che, in quei vicoli bui, emana luce propria.
Questa luce la ritrovo, passeggiando, soprattutto in tutta una serie di murales dedicati alla cultura napoletana e a personaggi “faro” che mai si sono spenti. Toto‘, Giancarlo Siani, Troisi, Pino Daniele, Carosone, Sofia Loren, Bud Spencer, l’immancabile Maradona e lui.. l’ultimo arrivato (ma solo in ordine di tempo) tra queste vie: Luciano De Crescenzo. Questi murales sono come santini, solo che non si portano nei portafogli ma nel cuore e, anziché di incenso e santita’, hanno l’odore inconfondibile delle strade che li ospitano. Sono Santi di elezione popolare. Quello di Luciano de Crescenzo è un murales – opera d’arte con un suo titolo: «‘O pallone miez ‘e’ machine» di Michele Quercia e Francesca Avolio. Scugnizzi sorridenti cercano di recuperare con una scopa un Super Santos incastrato in un altarino votivo (un super Santos a Napoli è più probabile che finisca su balconi e tetti di chiese che su un campo di calcio!) e Luciano è lí accanto che guarda la scena. Mano sul viso, sorriso compiaciuto, sguardo d’amore, è accompagnato da una delle sue indimenticabili frasi, quella che ogni napoletano dovrebbe tatuarsi sulla pelle, giusto per ricordarselo “Io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere”.
Il mitico professor Bellavista che “sapeva pittare Napoli fuori e dentro”, è stato pittato lui!! E stavolta, se il Padreterno si porta indietro una di queste case, si accorge che, oltre ai tanti edifici uniti tra corde e panni, si porta via (di nuovo!) pure a lui! (semicit. Dal libro “Così parlo’ Bellavista)
Quando metti piede in questi vicoli percepisci subito che c’è una nobiltà consumata ma non perduta che ha messo radici in strade e cuori. È una nobiltà che parla in dialetto, indossa abiti dismessi, e non ostenta i sui tesori. Nella mia personale caccia a questi tesori, mi sono imbattuta, tra queste vie, anche in un sorprendente palazzo Liberty, nascosto e impolverato. Un nobile decaduto che ha conservato il suo enorme fascino. Un gran signore di marmi, stucchi e ferro. È palazzo Massa al n. 83 di via Emanuele De Deo. Ha mosaici, scala elicoidale e rampe, intervallate da piccoli pianerottoli perché, capite bene, senza ascensore ogni tanto uno pure s’adda riposa’. Ma in seguito a questa lenta ascesa, fatta di stupore e meraviglia, si giunge nel punto più alto; lì se guardi in giù ricevi in omaggio un fiore di mosaici. Otto grandi petali tra piccoli gigli angioini. Pare infatti che i Massa fossero una nobile famiglia legata, già dal 1200, agli angioini e che, tra i membri di questa famiglia ci fossero anche quei famosi Massa, “riggiolari” del Chiostro maiolicato di Santa Chiara. Il palazzo è liberty, floreale, elicoidale. È del 1910 e il suo architetto si chiamava Francesco De Fusco. Questo palazzo è un altro di quei diamanti impolverati che avrebbe bisogno di essere ripulito solo per brillare di più. Ma un diamante è sempre un diamante. Le cose brillano se c’è luce e questi quartieri ne irradiano tanta anche se sono stretti e bui, anche in assenza di lampade borboniche rimaste a far guardia, solitarie e spente, in quel di Trinità degli Spagnoli…