
Dal dinosauro Ciro ai pesci fossili, le scoperte e il fascino di una terra tropicale
A spasso per la Campania tra fossili e dinosauri, come in un piccolo Jurassic Park che, però, non ha nulla da invidiare ai grandi centri della paleontologia mondiale.
Perché se è vero che la mente, all’evocare quei lucertoloni estinti milioni di anni fa, s’immagina bestioni giganteschi non ci si deve scordare che è stato un piccolo ritrovamento, a Benevento, che ha permesso alla comunità scientifica mondiale di svelare alcuni tra i misteri che ammantano il mito dei dinosauri.
Lo hanno chiamato Scipionyx samniticus, tutti lo conoscono però come Ciro. I suoi resti fossili vennero alla luce nel 1980, a Pietraroja, grazie a un appassionato ricercatore veneto.
Un banale equivoco, confortato dal pregiudizio secondo cui sul territorio oggi italiano e campano ma a quell’epoca ritenuto sommerso, mai avrebbero vissuto i dinosauri, portò a ritenere che Ciro altro non fu che una banale lucertola.
Fu grazie al successo planetario del film cult di Steven Spielberg, tratto dal romanzo di Michael Crichton, che si poté ristabilire la verità sul fossile e che gli scienziati furono in grado di porre rimedio all’imbarazzante “qui pro quo”.
Altro che comunissima lucertola, Ciro era il cucciolo di una specie non ancora catalogata di dinosauri che si nutriva di pesci e piccoli rettili che vivevano sulle coste dell’Oceano Tetide, l’immensa massa d’acqua che prima separò la Pangea, il continente unico di tutte le terre emerse, in Laurasia (a nord) e Gondwana (a sud) e poi finì “chiusa” nell’attuale Mediterraneo.
Le ricostruzioni olotipiche mostrano che, da adulto, avrebbe raggiunto una lunghezza pari a due metri e un’altezza pari a 130 centimetri. Ciro, però, non ebbe l’occasione di diventare adulto: il suo corpo senza vita finì nella laguna che si estendeva dove oggi c’è Pietraroja e lì rimase, dal Cretaceo inferiore (intorno a 113 milioni di anni fa) fino a oggi.
Ciro divenne una star internazionale nel 1998, quando si conquistò la copertina dell’importante rivista scientifica di Nature. I suoi resti, conservati perfettamente in un ambiente privo d’ossigeno, sono praticamente unici perché conservano alcuni dei tessuti molli.
Grazie agli studi condotti su di lui è stato scoperto, definitivamente, che i dinosauri erano animali a sangue caldo, a differenza di molti rettili; s’è cementata l’idea che questi animali preistorici potessero essere gli effettivi progenitori degli uccelli, dal momento che un sottile strato di piume avrebbe ricoperto il corpo del piccolo dinosauro; si è potuto studiare quale fosse l’alimentazione dei rettili preistorici (e quindi la fauna dell’epoca nella zona oggi sannitica).
A Pietraroja, nel luogo del ritrovamento, c’è oggi un Paleolab dedicato proprio al dinosauro che, di colpo, ha rivoluzionato gli studi della paleontologia internazionale.
Se Ciro è considerato il più importante dei fossili, il piccolo Davide, di colpo, ha calamitato su di sé l’attenzione sottraendola alle centinaia di quei giganteschi “Golia” che furono tirannosauri e brontosauri. In tutta la Campania, infatti, vi sono altri importanti giacimenti fossili che meritano interesse.
A Magliano Vetere, nel cuore del Cilento, c’è un museo che raccoglie i ritrovamenti fossili della zona. Alcuni sono di estremo interesse: c’è l’antenato della gustosa cernia, scoperto nell’attuale Ottati e risalente a 50 milioni di anni fa; una specie peculiare di gamberetto preistorico, il palemon vesolensis, rinvenuto su quello che oggi è il Monte Vesole e che risale a 75 milioni di anni fa e che a suo modo – data l’estrema fragilità dell’esoscheletro – rappresenta un ritrovamento eccezionale. Piante antichissime, persino fiori forse tra i primi apparsi sul pianeta. Il quadro restituito dai ritrovamenti e dai fossili conservati e studiati a Magliano Vetere è interessante: lì dove oggi ci sono le colline e i monti del Cilento si estendeva il mare aperto, costellata qua e là di piccole isolette tropicali. Come fu, appunto, il Sannio in cui visse Ciro.
I pesci rappresentano alcune delle testimonianze più affascinanti dell’antichissimo passato (sommerso) della Campania. Al museo paleontologico di Napoli ci sono alcuni esemplari che hanno destato l’interesse degli studiosi. Si tratta dei cosiddetti pesci fossili, di Giffoni Valle Piana e Castellammare di Stabia. Il primo è un paraledipotus ornatus che risale al Triassico superiore, praticamente un po’ prima dell’alba dei dinosauri. Fu una specie molto diffusa nei mari del tempo, esemplari simili sono stati scoperti in Austria, in Francia, Polonia, Stati Uniti e Arabia Saudita. I secondi, invece, sono quattro stemmatodus rhombus, una sorta di antenati dei pregiati rombi. Sono piccolissimi pesci ossei, adatti a vivere in ambienti caldi, che non superano i sei centimetri di lunghezza e risalgono al periodo del Cretaceo inferiore.
In tempi (relativamente!) più recenti, la Campania emerge dalle acque e le sue terre iniziano a popolarsi di animali terrestri. Al Museo Archeologico provinciale di Salerno sono esposti i resti di esemplari di antichi elefanti e ippopotami preistorici, scoperti nell’area che oggi è quella di Santa Cecilia di Eboli. Si tratta di ritrovamenti importanti che, secondo gli studiosi, avrebbero impresso il loro marchio sulla mitologia e sulle credenze dei popoli che poi sarebbero arrivati a colonizzare quelle terre.