Aggirandosi tra vicoli e stradine ci si imbatte in un tempo che non c’è più
Ci sono luoghi dell’anima. Posti che vanno visitati, assaporati e vissuti anche solo per poche ore, magari avendo la fortuna di essere guidati da chi in questi luoghi è nato e cresciuto. Apice Vecchia ne è un esempio. Un borgo fantasma sospeso nel tempo, definito la “Pompei del ‘900”. Ma con la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del ’79 d.C., questo paese sannita ha in comune l’essere considerato a tutti gli effetti un “sito archeologico” dove le lancette dell’orologio si sono fermate, regalandoci una istantanea di un tempo che fu. E mentre a Pompei si ha la possibilità di assaporare usi e consuetudini di 2000 anni fa, ad Apice gli usi e le consuetudini appartengono al secolo scorso, ma non per questo offrono sensazioni ed emozioni meno intense.
In questo angolo di terra non lontano da Benevento, arroccato su una collina, intorno al Castello dell’Ettore (suggestiva location per matrimoni e che ospita anche eventi e i mercatini di Natale, oltre ad una esposizione permanente di arte contemporanea e su usi e costumi), troviamo Apice Vecchia: una serie di case costruite una a ridosso dell’altra. Qui la scala sociale si manifestava dal numero di stanze, dallo spazio vitale dove vivere, un po’ come accade in tutti i borghi dell’Italia Meridionale. Due terremoti, due scosse, una nell’agosto del 1962, l’altra nel novembre del 1980 segnarono irrimediabilmente la storia di questo borgo.
La prima aprì una crepa profonda, tanti decisero di abbandonare le loro case, di lasciare il borgo antico, che il Ministero dei Lavori Pubblici decretò a rischio crolli e da evacuare. I cittadini lasciarono a malincuore le loro abitazioni, attratti anche dalla possibilità di costruire una nuova abitazione più grande e più accogliente. La scossa del 1980 di fatto decretò l’abbandono totale di quasi tutte le case.
Il tempo si è fermato ed oggi Apice Vecchia è un luogo ricco di fascino, ma visitarlo significa anche rispettarlo. Se vi limitate ad attraversare quello stretto corridoio messo in sicurezza e che gira intorno al nucleo di abitazioni più vicine al castello potreste rimanere quasi delusi, aggirandovi per quel percorso segnato da cancelli, che sbarrano vicoli, e riproduzioni di foto in bianco e nero, che ricordano il bel tempo passato, potreste sentirvi quasi su un set cinematografico. Il tutto potrebbe avere “il sapore del finto”.
Cosa ben diversa, invece, quando uno di quei cancelli viene aperto e potete perdervi nel dedalo di stradine strette dove l’alluminio, le insegne luminose, i restauri e le prove di modernità sono state impedite dalla natura e dall’abbandono. Ad accompagnarci, nel nostro tour, abbiamo avuto una guida d’eccezione, Luca Iacoviello un abitante di Apice, appassionato di fotografia e che da alcuni anni gestisce il profilo instagram Apice Vecchia ed è proprio lui a raccontarci che qui “Tutto è rimasto com’era. Ogni cosa riprende vita ogni volta che qualcuno entra, tocca, legge, respira. Tutto è incredibile, bello da vedere”.
Ogni casa, che sia la dimora gentilizia del dottor Cantelmo, apprezzato medico di Apice, o un’altra, non importa se sia ricca o povera, custodisce una storia che tutti possono leggere e interpretare alla propria maniera, offrono un fascino suggestivo, un continuo paragone con il proprio vissuto personale. Alcuni pavimenti ti riportano alla mente quelli delle case dei nonni, la vecchia auto imprigionata dal crollo del tetto rimanda ad una Italia del boom economico, il bancone del bar vi catapulta in un film degli anni ’70, e lo stesso vale per tanti tantissimi oggetti e scorci che incontrerete lungo il vostro giro.
Insomma Apice Vecchia è un “borgo fantasma da vivere”, un ossimoro che ci aiuta a ricordare quello che è stata l’Italia di pochi decenni fa, ma bisogna viverlo con il rispetto dovuto ad un museo a cielo aperto, che resta lì, che ha bisogno di cure, ma anche del calore umano per continuare a raccontare la propria storia.