Dedicato al santo più importante della città, conserva un affresco di Mattia Preti
Porta San Gennaro, in via Foria, è la più antica porta di Napoli. Risale probabilmente al VIII secolo d. C. e ne abbiamo testimonianza già dal 928 d.C., epoca in cui i Saraceni cercavano di conquistare le coste campane. Dal X secolo viene chiamata Porta San Gennaro.
Dedicata al patrono più importante della città, era chiamata così perché attraversandola era possibile raggiungere le meravigliose catacombe di San Gennaro, a Capodimonte, nonché la chiesa paleocristiana San Gennaro extra moenia. Veniva anche identificata come “porta del tufo”, perché i blocchi di materiale vulcanico, provenienti dalle cave del Borgo dei Vergini e della collina di Capodimonte, all’epoca adibiti a necropoli, trasportati all’interno della città attraverso la porta, venivano utilizzati come materiale da costruzione.
In un documento dell’anno Mille si parla anche di una cappella, all’interno delle mura, vicina alla porta: cappella San Gennaro Spogliamorti, chiamata così perché costituiva una “tappa obbligata” per i morti che andavano verso la sepoltura e che lì venivano spogliati. I loro vestiti venivano venduti agli ebrei, che avevano una delle loro sedi presso vico dei Giudei (l’attuale vico Limoncello), e che li rivendevano come abiti usati.
La porta viene spostata lì dove la vediamo oggi solo nel 1537, per volere di Pedro da Toledo che la privò anche delle torri fortificate ai lati.
Nel 1656 scoppia la peste, la popolazione napoletana viene decimata e gli eletti dei sedili di Napoli decidono che la popolazione avrebbe dovuto invocare l’aiuto dei santi. Tutte le porte della città sarebbero state affrescate con scene della peste e dei santi che intercedevano per la salvezza dei napoletani.
L’arduo compito tocca al “Cavaliere calabrese”, Mattia Preti, che si salva in tal modo dalla condanna a morte per omicidio. L’artista aveva infatti litigato con un pittore rivale a Roma, ferendolo gravemente, ed era fuggito dalla città per evitare la giustizia romana. A Napoli viene fermato da una guardia, che non gli consente l’accesso alla città, a causa della peste. Il pittore allora lo uccide con il filo della spada. Avrebbe dovuto pagare con la condanna a morte, ma excellent in arte non debet mori (chi eccelle nell’arte non deve morire), e quindi gli viene offerta la possibilità di pagare la sua condanna con la sua abilità artistica. Sette affreschi per sette porte, ma oggi restano solo quelli sulla porta di San Gennaro. Sullo sfondo scene di morte e putrefazione, gli appestati vengono portati sui carri fuori dalla città; i passanti si tappano il naso per il fetore dei cadaveri.
In primo piano San Gennaro intercede per i napoletani, offrendo le ampolle con il suo sangue. È accompagnato da San Francesco Saverio e Santa Rosalia, nonché dalla Vergine, alla sommità dell’affresco, l’unica ad essere illuminata.
In questa fase la pittura di Mattia Preti risente dell’influenza di Luca Giordano, i chiaroscuri, i toni cupi consegnano una raffigurazione della peste “senza mezze misure”.
Non furono pochi i dissensi, in seguito ad una rappresentazione tanto cruda.
Anche i teatini scatenarono una polemica, ma per ben altri motivi: all’epoca cercavano di far diventare San Gaetano da Thiene, il fondatore dell’ordine, compatrono di Napoli. San Gaetano non compariva, però, nell’affresco di Mattia Preti. Si decise così, nel 1659, di aggiungere una statua del santo, opera di Bartolomeo Mori, sulla parte interna dell’ingresso alla città.
Sulla parte esterna, invece, una statua di San Gennaro dirige lo sguardo verso le vittime, passate ormai a vita ultraterrena.
Vent’anni dopo la sua realizzazione, l’affresco è stato danneggiato da un terremoto, e nella metà del Settecento si trovava in pessimo stato. Alla fine dell’Ottocento si decise di restaurarlo, coprendolo con un composto di albume d’uovo e siero di latte, che, combinandosi con lo smog, gli diede il colpo di grazia. Solo grazie al recente intervento di restauro ad opera dell’associazione Incontri Napoletani, oggi guidata da Patrizia Giordano, l’opera di Mattia Preti è salva, e costituisce oggi l’unico suo affresco rimastoci sulle antiche porte di Napoli.
A cura di Erika Chiappinelli