«Amore, domani ti porto all’archivio di stato» ho detto ieri a mia moglie cogliendola di sorpresa.
«Domenica in centro? Sei impazzito?» ha prontamente risposto lei. «E cosa è successo? Non ci sono partite del Napoli?»
«No, tranquilla, nessun evento sportivo degno di nota».
E così, stamattina, siamo venuti in centro con la metropolitana e ci stiamo godendo le sale interne di questo ennesimo palazzo storico di Napoli.
Mia moglie è così felice che, da quando siamo usciti di casa, non ha smesso mai di parlare.
È questo l’effetto che le fa la felicità.
E la tristezza.
E pure quando è in ansia per qualcosa.
«Silentium» ci redarguisce un monaco che è apparso dal nulla.
Siamo appena usciti in un bellissimo chiostro e mia moglie ha iniziato un accuratissimo elogio ai marmi di Carrara che tappezzano le pareti di questo meraviglioso giardino.
È questo l’effetto che le fa la bellezza.
E le cose brutte.
E pure le cose anonime.
«Questo è un luogo del silenzio» aggiunge indispettito il monaco vedendo che mia moglie ha solo abbassato il tono della voce e continua a sussurrarmi frasi nell’orecchio.
«Mamma mia e che maleducato» riprende a pieno ritmo lei quando il monaco sparisce dietro una porta in fondo al colonnato.
«Non hai sentito il prete? Questo è un posto riservato al silenzio» insisto. «Senti gli uccellini che cinguettano?»
Nel chiostro per fortuna c’è solo un’altra coppia di turisti che non riesce a sentire dove mia moglie mi ha appena suggerito di infilarmeli quei poveri uccellini.
Loro sì che si stanno godendo il silenzio di questo posto magico.
Dal loro aspetto e dall’abbigliamento direi che sono svedesi.
«Svedesi?» chiede mia moglie come se avesse letto i miei pensieri.
È questo l’effetto che le fanno gli sconosciuti.
E tutti gli amici.
E pure i parenti.
«Finlandia» risponde il giovane vichingo.
«Parli italiano?» domanda la mia dolce metà.
“Dille di no, dille di no” cerco di comunicare telepaticamente al finlandese.
«Sì, ho fatto l’Erasmus a Firenze» risponde lui evidentemente all’oscuro delle potenzialità della trasmissione del pensiero.
La sua ragazza ci guarda senza proferire una parola.
«In Italia ho imparato, come dite voi? Il “small talk”. Da noi non esiste» prosegue il ragazzo.
«La conversazione superficiale» mi intrometto, affascinato dalle sue parole e per educazione sposto lo sguardo sulla ragazza che continua a restare in religioso silenzio.
«Molti bambini finlandesi scoprono questa forma di interazione solo quando imparano l’inglese» prosegue Petri, che intanto si è pure presentato.
La sua ragazza si chiama Anne.
Ce l’ha detto sempre Petri perché lei non parla.
«Quindi esiste una cultura del silenzio?» chiedo, lanciando sguardi allusivi a mia moglie che guarda i due finlandesi come se fossero alieni.
«Sì, bravo. Nelle riunioni sociali, noi non sentiamo la necessità di riempire i silenzi. Questi possono durare anche minuti, senza creare disagio» aggiunge Petri per concludere la lezione di antropologia sul suo paese.
Dopo un cenno d’intesa, i due finlandesi raccolgono le loro cose e ci salutano.
Petri stringe la mano a entrambi, Anne scambia con noi solo sguardi di cortesia.
Chissà che suono avrà la sua voce.
Sono pazzo di lei e del suono seducente del suo silenzio.
«Sarà muta» sentenzia mia moglie riportandomi alla realtà.
«Allora non hai capito nulla? In Finlandia il silenzio è visto come un momento di riflessione, non come qualcosa di negativo».
«E allora è il posto adatto a te. Le parole te le devo sempre tirare io dalla bocca».
«Silentium» ci rimprovera di nuovo il monaco di prima che neanche questa volta abbiamo sentito arrivare e che, subito dopo, sparisce come se fosse il frutto di un’allucinazione.
«Jammuncenne mò mò» mi ordina mia moglie. «Tutt stu silenzio m’ha fatt venì mal e cap».