La Napoli dei Femminielli

Napoli è sempre stata “oltre”. Ed da qualche giorno anche “trans”, termine inteso come città capace di attraversare e farsi attraversare senza giudicare. Anche per questo motivo, a via Diaz, nei pressi della stazione metropolitana Toledo, prima della selezione regionale di Miss Trans, è stato celebrato il T-door, la giornata dedicata alla memoria delle trans vittime della violenza.

In apertura c’è stato un dibattito intitolato “Dalla storia della tradizione campana del femminiello napoletano alla realtà dei giorni nostri”, in cui sono intervenuti il presidente dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere Paolo Valerio, Andrea Momiroli della cooperativa Dedalus, la responsabile nazionale Arcigay per i diritti delle persone transessuali Ottavia Voza, la responsabile, del consultorio Transgenere Regina Satariano e la delegata per le pari opportunità del comune di Napoli, Simona Marino.

Non solo una festa, ma anche un’occasione per superare il pregiudizio: è a Napoli che c’è la più grande comunità trans del Mediterraneo, nella quale è ancora molto diffusa la prostituzione, una realtà che nasconde origini storiche nella città partenopea, che proprio nel “femminiello” trova il suo eroe: essere fragile e forte allo stesso tempo.

Uno scombussolamento l’ha portato il terremoto irpino dell’80, con una camorra assetata di denaro e che, con la droga ha trasformato la natura della trasgressione, a tal punto da pensare che si stava meglio prima. L’ha sintetizzato pochi anni fa lo scrittore Sergio Lambiase: “A volte i femminielli sembrano gli unici napoletani a struggersi per amore, per vie delle loro storie disperate. Nessuno più di loro sa cosa significhi gelosia”.

Il “Femminiello” di oggi ha cambiato pelle e resiste al tempo. Rivendica una parte nel mito fondante di Napoli, sfiorando persino la sacralità di San Gennaro, protettore della città che trae il suo nome da Giano, il dio latino bifronte oscillante tra pace e guerra, ma persino tra identità di genere. Ora il termine “femminiello” conserva un genere maschile: un uomo che si sente donna e spesso si veste da donna, si prostituisce, ma non necessariamente. Un termine usato sempre in modo allusivo e mai dispregiativo, perché spesso è figura domestica, con accezione zitellesca. Nelle zone popolari, invece, è sempre stato rispettato: guida la tombola perché la sua mano “porta fortuna”, viene fatto oggetto di foto con un braccio un neonato perché egli, non potendo essere madre naturale, è simbolo di fertilità.

Nel suo mondo è sempre rispettato e sa rispondere anche acidamente alle battute: chi ha l’occasione di frequentare i Quartieri Spagnoli o il Cavone ne incontra qualche ultimo baluardo. Risulta lecito domandarsi se il trans attuale sia la nuova versione del femminiello, ma non possiamo dare una risposta. Sappiamo che il corpo sia un’autentica opera d’arte

 

(fonte: ilMattino)

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