Il soprannome gli arriva da Boscotrecase, ma era nato a Torre Annunziata
Esce per i tipi dell’editore salernitano Vincenzo D’Amico “il Brigante Pilone”, romanzo storico di Filippo Mastriani, prolifico autore vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento. Scritto sulla scorta di notizie ancora “calde” sulla vita, la guerriglia e l’uccisione di Antonio Cozzolino, eroe legittimista per i filoborbonici, brigante per i liberali osannanti il re Savoia, il romanzo, che è affiancato in volume unico da un saggio storico di Carlo Avvisati e Angelandrea Casale, è ignoto alla stragrande maggioranza dei lettori e viene riproposto integralmente in questa edizione. Prima di diventare il «brigante Pilone», Antonio Cozzolino era stato un suddito fedele e un soldato coraggioso, oltre che un ottimo scalpellino. Una biografia dell’uomo, alquanto ridotta e incompleta, ci perviene sia per il tramite di un documento compilato da ignoti redattori sia attraverso un «memorandum» approntato dal marchese Avitabile che da Pilone fu sequestrato.
«Antonio Cozzolino, nominato Pilone, del comune di Boscotrecase» riporta erroneamente il manoscritto perché Pilone era nato a Torre Annunziata «esercitava il mestiere di scalpellino. Egli avea servito da soldato nell’esercito borbonico e congedato dopo il 1849 si addusse all’esercizio del suo mestiere». Tuttavia, il ritorno agli abiti civili non fu per niente facile. Le idee politiche, spesso ostentatamente dichiarate, che lo vedevano schierato a favore del legittimo re, e il fatto che le ribadisse di continuo con i suoi compaesani o con chiunque si trovasse discutere, ben presto lo portarono a diventare il bersaglio di carbonari e irredentisti. Perseguitato dal sindaco Oliva di Boscoreale, cittadina dove si era messo ad abitare, per le sue idee borboniche, all’indomani dell’annessione del Regno borbonico a quello dei Savoia, è costretto a scappare per sfuggire alla cattura. Sino a quando non ammazza un l’ufficiale della guardia cittadina locale reo di averlo inseguito, e fatto segno a colpi di fucile, con un nutrito drappello di “nazionali”. E dunque, raduna attorno a se una banda di ex soldati borbonici e simpatizzanti dell’antico re: Francesco II di Borbone e si da alla macchia, come hanno fatto altri ex borbonici. Comincia così, dunque, l’epopea di questo brigante con una lotta che durerà ben dieci anni durante i quali con la sua “comitiva” terrà sotto scacco esercito, polizia e carabinieri, su tutto il territorio vesuviano e oltre. Tradito e “venduto” da un suo compaesano, finirà ucciso da una squadra di dodici questurini, in prossimità dell’orto Botanico, a Napoli, come riportato da Avvisati e Casale nel saggio introduttivo alla storia. Quella storia romanzata, che Mastriani scrisse sull’onda emozionale che ancora alla fine dell’Ottocento circondava il nome di Pilone, spesso utilizzando nomi e soprannomi di attori reali della vicenda, non solo ripercorre uno spaccato di vita politica e sociale dell’area vesuviana lungo un intero decennio ma descrive realmente il difficile clima vissuto dalle genti locali all’indomani dell’arrivo dei Savoia. Il parallelo che il lettore farà tra saggio storico e romanzo storico vuole essere una straordinaria intuizione letteraria.