Al Kunsthistorisches Museum, due tele dipinte durante il periodo partenopeo dell’artista
Nelle ampie e ricche sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna, la pittura italiana – e in particolar modo quella partenopea – fanno bella mostra di sé catturando l’attenzione del visitatore.
La Pinacoteca del museo austriaco rappresenta, infatti, la tangibile prova dell’importanza della scuola napoletana del Seicento e del Settecento.
Non è difficile, quindi, imbattersi nelle opere di Luca Giordano, Bernardo Cavallino, Paolo de Matteis, Salvator Rosa, Francesco Solimena, Mattia Preti, tanto per citarne alcuni.
Tra questi, anche due dipinti realizzati da Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio, nel corso del suo soggiorno napoletano: “Davide con la testa di Golia” (1606/16077), che raffigura l’eroe della tradizione biblica, spada alla mano, subito dopo aver rescisso la testa del gigante, e la “Madonna del Rosario” (1604/1605), un dipinto che, stando all’ipotesi del Calvesi, doveva fare parte di una pala d’altare di grandi dimensioni destinata alla Cappella Carafa Colonna nella Chiesa di San Domenico Maggiore, a Napoli, ma realizzata nell’ultimo periodo romano. Una cosa certa, però, è che nel 1607 l’opera, che vede la Madonna con Gesù Bambino protagonisti di una distribuzione del rosario – un atto naturale e, al tempo stesso, sovrannaturale – era in vendita proprio nel capoluogo partenopeo.
Caravaggio visse a Napoli complessivamente 18 mesi della sua vita: due soggiorni, tra ottobre del 1606 e giugno del 1607 e, successivamente, nell’autunno del 1609 per circa un anno fino alla morte avvenuta a Porto Ercole nel viaggio di ritorno verso Roma, nel luglio del 1610.
A Napoli il Merisi arrivò in fuga da Roma, dove era stato coinvolto nell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, ricercato e condannato a morte dalla giustizia romana e tormentato dal senso di colpa. Uno stato d’animo che si rispecchiò in più occasioni nella sua produzione artistica.
La città di Napoli lo accolse a braccia aperte nel corso del suo primo soggiorno. I suoi dipinti erano richiesti da mercanti ricchissimi, da intellettuali, da antichi nobili e da chi tentava una scalata sociale.
Qui la fama di Caravaggio divenne internazionale: le sue opere, tramite i viceré, migrarono in Spagna e grazie agli amici pittori arrivarono nel cuore dell’Europa. Fu proprio questo collegamento tra Napoli e le più importanti capitali europee che determinò la storia di queste due tele.
“Davide con la testa di Golia”, secondo la testimonianza di Giovanni Bellori fu acquistato dal Conte di Villamediana, a Napoli, tra il 1611 e il 1617 ed entrò a far parte della collezione imperiale austrica solo dopo una donazione. Diversamente dalla versione più antica dello stesso soggetto, oggi conservata al Museo del Prado di Madrid, in questo dipinto Caravaggio ha raffigurato un Davide trionfante che presenta all’osservatore la testa di Golia. Il giovane occupa tutta la parte sinistra del quadro e il suo sguardo è tranquillo e disteso, diversamente dalla sofferenza che si manifesta sul volto del gigante i cui occhi appaiono pietrificati in un grido di dolore e di morte.
Il dipinto è un olio su tavola di pioppo, un supporto insolito nell’opera del maestro. Dagli esami radiografici emerge che la tavola fu stata riutilizzata dal Merisi e che, in precedenza, vi fosse il dipinto di un artista fiammingo, probabilmente da Louis Finson, rappresentante Marte, Venere e Amore.
Il legame con i fiamminghi Louis Finson e Abranham Vinck giocherà, difatti, un ruolo importante anche nell’arrivo a Vienna della pala d’altare che raffigura la Madonna del Rosario.
Più complicata e ricca di mistero è la storia che ruota intorno a quest’altra opera del Merisi, presente nella pinacoteca austriaca. Il perché la pala non sia più collocata nella Chiesa di San Domenico Maggiore, a Napoli, resta avvolto nel mistero. Quello che sappiamo con certezza e che era stata mezza in vendita nel capoluogo partenopeo nel settembre del 1607 insieme a una tela raffigurante Giuditta e Oleferne.
I dipinti, che migreranno in coppia ad Amsterdam nelle mani dei pittori Fison e Vinck, probabilmente nel 1612, furono immessi sul mercato proprio dagli stessi artisti fiamminghi. La pala d’altare raffigurante la Madonna del Rosario rappresenta, di fatto, una delle più straordinarie testimonianze del caravaggismo nel cuore dell’Europa.
Fu acquistata dalla chiesa dei domenicani di St. Paulus di Anversa da un gruppo di artisti, tra cui Rubens e Jan Brueghel il Vecchio. Solo nel 1781, Giuseppe II riuscì ad averla per arricchire le collezioni imperiali di Vienna.
La Madonna col Bambino siede in trono in posizione leggermente sopraelevata al centro della composizione. Alla sua destra è raffigurato San Domenico che distribuisce corone del Rosario ai fedeli inginocchiati, scalzi e con i piedi sporchi. Alla sinistra della Vergine si può ammirare San Pietro Martire, che porta ben visibile la ferita alla testa e che indica la Madonna col Bambino rivolgendo lo sguardo direttamente all’osservatore. Il messaggio dell’opera è evidente: solo attraverso la devozione al Rosario e l’intercessione della Madonna e dei Santi si può raggiungere Dio.