La lunga e antichissima storia dei popoli che hanno abitato le campagne dell’Agro in mostra in un Palazzo nobile del ‘700
Alle spalle del Municipio a Sarno, a pochissimi passi dal santuario dedicato a Maria Santissima delle Tre Corone e alla chiesa dell’Immacolata Concezione, in quello che fu il palazzo della nobile famiglia degli Ungaro, poi passato all’imprenditore tessile Michelangelo Capua di cui porta ancora il nome, c’è il Museo della Valle del Sarno.
L’esposizione, raccolta al primo piano dell’edificio, raccoglie le vestigia degli antichi popoli che vissero e abitarono la campagna ubertosa di quello che è oggi l’Agro Nocerino Sarnese. Ed è una storia lunghissima che dalle necropoli protostoriche attestate a San Marzano sul Sarno si dipana fino all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Il visitatore è accompagnato, nella visita, dalle riproduzioni degli appunti dei diari archeologici delle scoperte e dei reperti in mostra.
Diverse e interessanti sono le sepolture venute alla luce negli anni durante alcune e fortunate campagne di scavi compiute nel territorio della valle del fiume Sarno. In particolare, due sono le tombe che richiamano l’interesse.
La prima è quella del Capitano, scoperta in località Galitta del Capitano. In una cassa a forma rettangolare, corredata da circa trenta oggetti tra cui un cinturone da guerra in bronzo, fu affrescato una scena del cosiddetto motivo del “ritorno del guerriero”. A bordo di un carro, accompagnato da un corteo, il cavaliere (la cui peculiarità qui è quella d’essere rappresentato con i capelli bianchi) viene accolto da una donna che gli porge una melagrana, simbolo di fecondità e di rinascita. Il frutto è presente praticamente ovunque, nell’affresco e nelle diverse sepolture. Riprodotto in sfere di terracotta, è uno dei simboli più utilizzati (e perciò venerati) dai popoli indigeni dei Sarrasti insieme a quello della donna-fiore. Due “indizi” culturali che avvicinano, senza dubbio, Sarno all’antica Paestum dove il culto della donna-fiore si sincretizzò in quello di Hera Argiva e la venerazione verso il melograno si inculturò nel culto mariano alla Madonna del Melograno che ancora oggi è vivo nella zona.
Ancora più bella, anche se non è (per il momento) in esposizione al museo, è quella della cosiddetta Principessa. Una donna di condizione sicuramente nobile, venne seppellita con un corredo prezioso composto da circa 200 oggetti. La scoperta di quella tomba avvenne nell’ottobre del 1986, tornarono alla luce oggetti in bronzo (tra cui spiedi, un’ascia e coltelli), gioielli in ambra e argento; il corpo della donna sepolta era vestito con sfarzo. Un caso che porta alla mente una suggestione e un paragone, quella con il ricchissimo e sfarzoso corredo della tomba della cosiddetta Signora degli Ori ritrovato a Buccino e lì esposta al Museo archeologico locale.
Da altre sepolture femminili arrivano, invece, i globi in terracotta (a simboleggiare melagrane o uova?) e altri gioielli, tra cui un pendente in oro. La peculiarità che unisce le sepolture, oltre al metodo dell’inumazione nella cassa, è quella della posizione dei cadaveri, con il capo orientato verso sud-est.
Importanti, poi, le statuette e i vasi votivi scoperti dagli archeologi a Foce Sarno che attestano come il fiume venisse venerato, appunto come un dio. Un culto che, nei secoli, ha subito modifiche ma che s’è impresso nella letteratura latina e greca, con Virgilio e Strabone, Svetonio e Plinio il Vecchio.
Tra gli oggetti più peculiari della collezione del Museo della Valle del Sarno c’è un grazioso carretto in miniatura, in bronzo, trovato dagli archeologi nella tomba 232 risalente alla metà del IX secolo avanti Cristo, che conteneva un contenitore di avorio probabilmente utilizzato per bruciare i profumi oltre alla collezione dei pregevoli vasi in bronzo provenienti dalla villa di Numerio Popidio Narcisso, scoperta a Scafati, risalente al I secolo d.C. e spazzata via dall’eruzione che distrusse Pompei nel 79 d.C.
Giorni di apertura: Martedì – Domenica, dalle ore 9.00 alle 19.00.