
Un rapporto, tra il cantautore genovese e la città, fatto di passione, canzoni, ispirazioni e incontri
Venti anni fa ci lasciava Fabrizio De André, uno tra i più grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana.
Come è noto, il suo percorso artistico fu profondamente influenzato dalla scuola francese degli “chansonnier”, – Georges Brassens su tutti – dal “menestrello” Bob Dylan e dal compositore canadese Leonard Cohen, ma è anche vero che un grande e significativo contributo gli fu dato dalla città di Napoli, che De André considerava una sorta di “patria morale”, un luogo dove poter pensare di vivere, dopo Genova, che gli aveva dato i natali, e l’amata Sardegna.
Fabrizio, fin da piccolo, grazie alla collezione di dischi del padre, entrò in contatto con la lingua napoletana e con le sue sonorità, tanto da preferirla a qualsiasi altra lingua mediterranea. Della canzone napoletana classica, inoltre, apprezzava la capacità di raccontare la vita popolare tramite la poesia, cosa che fece sua e che trasferì nelle sue canzoni, ritenute, da sempre, dei veri e propri testi poetici, tanto da essere inserite nelle antologie di letteratura italiana.
“Non sapevo nemmeno io come e perché, ma impazzivo per Bovio e Di Giacomo”, affermò in un’intervista.
Tuttavia, questi illustri personaggi non furono gli unici napoletani a contribuire in modo importante alla formazione di Faber: il filosofo Benedetto Croce svolse, infatti, un ruolo fondamentale nelle letture giovanili del cantautore genovese.
“Sembrerà strano, ma io mi sono formato convinto delle cose che scriveva lui, l’ho ripetuto in chissà quante interviste: don Benedetto sosteneva che fino ai 18 anni tutti scrivono versi e che da quell’età in poi l’umanità si divide in due categorie di persone che si ostinano a scrivere: i poeti e i cretini. Precauzionalmente, visto che diciottenne non sono più e continuo a scrivere versi, preferirei considerami un cantautore”.
De André studiò a lungo l’antologia di Roberto Murolo, i film di Vittorio De Sica e il teatro di Eduardo De Filippo, che lui considerava “frutto di una lingua e di una cultura che sono riuscite a non farsi omologare”.
A tal proposito, si racconta che proprio durante le pause della registrazione de “Le Nuvole” (1990), Fabrizio ascoltasse sul walkman le commedie di Eduardo.
L’album, il cui titolo si ispira a una commedia di Aristofane, contiene una delle canzoni più famose del cantautore genovese, completamente in napoletano: “Don Raffae’”, scritta a quattro mani con Massimo Bubola.
La canzone – che aveva per protagonista un boss, Don Raffae’, appunto – contestava le condizioni invivibili delle carceri italiane e l’arrendevolezza dello Stato alle regole e ai codici della malavita.
Si dice che l’idea gli venne mentre rileggeva “Gli alunni del tempo”, un romanzo pubblicato nel 1960 da Giuseppe Marotta, scrittore napoletano, che vede come protagonista don Vito Cacace, una guardia notturna che è anche l’unica persona che compra il giornale nel quartiere. Don Vito la sera raduna i vicini nel basso e, mentre “spiega” loro i fatti del giorno, influenza e plasma anche i loro pensieri, proprio come Don Raffae’ fa con il suo secondino, Pasquale Cafiero.
Cosa c’entra allora Eduardo? Il verso della canzone “Ah che bell’ ‘o café” riprende l’inizio del secondo atto di “Questi fantasmi”, in cui il protagonista, Pasquale Lojacono decanta l’arte della preparazione del caffè al suo dirimpettaio, il Professor Santanna.
Una vera e propria affinità elettiva quella di De André con Napoli, fatta di canzoni, ispirazioni, incontri e omaggi artistici, come quando “regalò” a Peppe Barra la versione napoletana di “Bocca di Rosa”, curata da Vincenzo Salemme.
E questa città di mare, che non dimentica mai chi la ama e l’ha amata, oltre ad avergli intitolato, nel 2016, un Auditorium nel quartiere popolare di Scampia, renderà nuovamente omaggio a Fabrizio De André, nel ventennale della sua scomparsa, dedicandogli l’edizione 2019 de la “Festa della Musica”, in programma la prossima estate.
*La foto di copertina, che rappresenta il cantautore, ventenne, a passeggio sul lungomare, davanti a uno storico ristorante del Borgo Marinari, è stata pubblicata sul sito web de La Repubblica il 30 marzo 2016.