Maledetta passione, il San Paolo la casa del Napoli

Da Vinicio a Maradona fino a Sarri: lo lunga storia dello stadio di Fuorigrotta

La storia del Calcio Napoli si è irrimediabilmente fusa con quella della città. Non fosse che per la passione, che anima da decenni intere generazioni di tifosi. Non fosse per il fascino delle “case” del calcio napoletano, catini traboccanti d’amore, d’odio, di rivalità, gioie e delusioni che solo lo sport sa regalare. Non sarà mica un caso se il Mann ha ospitato una mostra legata proprio alla storia del Ciuccio. 

Il tour tra gli stadi della Campania, perciò, non può che iniziare da qui, dalla storica e più longeva casa del Napoli che è il San Paolo. Lo stadio “nuovo” di Fuorigrotta, inaugurato nel 1959. Ha assistito ai trionfi di Maradona, Careca, Alemao, Bagni, De Napoli. Gli scudetti, quello – il primo – dell’87, bissato poi nel ’90. Quelli mancati, nell’88 e negli anni ’70. Ha registrato i tonfi, le delusioni del fallimento e della serie C, la rinascita fino ai fasti contemporanei della “Banda Sarri”.

A Fuorigrotta c’è un’istituzione del calcio italiano. I lavori iniziarono nel ’49, Napoli voleva scuotersi di dosso la polvere della guerra e ricominciare a sognare in grande con il pallone. Erano gli anni ruggenti del “comandante” Achille Lauro. Fu progettato dall’ingegnere Luigi Corradi e dall’architetto Carlo Cocchia. Il campo di gioco è circondato da una pista d’atletica a otto corsie che dona all’impianto la forma ovale. Nel tempo ci furono diversi interventi di restauro e ristrutturazione, l’ultimo dei quali ai tempi di Italia ’90. Oggi il dibattito sportivo e, soprattutto, politico si accende proprio sull’opportunità di ulteriori e nuovi interventi per migliorare le condizioni della struttura a beneficio degli spettatori.

Il battesimo del San Paolo – che in quegli anni si chiamava Stadio del Sole – fu fausto e glorioso. Il Napoli, nella prima gara casalinga disputata nel nuovo impianto che a quei tempi poteva accogliere fino a 87mila spettatori, batterono due a uno la Juventus che già allora era una potenza indiscussa del calcio italiano, in cui giocavano titani come John Charles e Omar Sivori che – poi – arriverà proprio in riva al Golfo. Fu un battesimo di fuoco, più di settantamila persone affollarono gli spalti per un incasso record, superiore ai sessantotto milioni di lire di quei tempi. Fu un trionfo: segnò per primo il partenopeo Vitali, raddoppiò nel secondo tempo Vinicio, ‘o Lione che già faceva sognare i tifosi ai tempi dello Stadio della Liberazione, oggi Collana. Gol di consolazione bianconera fu di Cervato, su calcio di rigore a sette minuti dal termine.

Al San Paolo ha espresso la sua carnale e irripetibile poesia di calciatore Diego Armando Maradona. Per amor suo, quando l’Italia magnifica delle “notti magiche“, di Schillaci, Baggio e Giannini incocciò in semifinale al San Paolo la “sua” Argentina, si riscoprì latina e sudamericana. Anni prima, a Fuorigrotta, El Pibe, si inventò quella che Ottavio Bianchi – basito – chiamò “punizione divina”, quando bucò la porta juventina difesa da Stefano Tacconi e presidiata da una barriera bianconera impenetrabile e troppo vicina: “tanto gli faccio gol lo stesso“. Era il 1985/86. L’anno dopo il Napoli, dopo anni di rincorse, frustazioni e delusioni, raggiunse il primo scudetto. A Fuorigrotta, qualche tempo dopo, il primo maggio dell’88, il Milan di Sacchi rimontò partita e classifica in quel celeberrimo 2-3 che ancora oggi fa storcere il naso sospettoso degli sportivi azzurri.  

Maradona incarnò il mito dello scugnizzo che piglia a pallonate i potenti, poco importa se è l’Inghilterra a Messico ’86, la Juventus degli Agnelli, l’Inter del Trap, la Germania di Rummenigge. Napoli non poteva non eleggerlo a suo idolo indiscusso. Altri idoli ebbe prima e dopo il San Paolo, Beppe Savoldi per esempio. Totonno Juliano, su tutti. Diego, però, fu definitivo anche perché vinse campionati e coppe. Ma tutte le cose belle, purtroppo, finiscono. 

Dopo l’era maradoniana, furono dolori e stridori. Stagioni anonime, con qualche esaltante sprazzo, deprimenti fino al record negativo di ottantanove spettatori paganti, contro la Cremonese nel ’99, ad applaudire all’ultima e inutile doppietta di capitan Francesco Turrini. Stagioni altalenanti e fallimenti fecero sì che si sprofondò in terza serie. 

Poi, come spesso avviene a chi troppo ha sofferto, la situazione cambiò e da qualche anno il Napoli è tornato a lottare nell’Europa che conta, a sognare di cucirsi sul petto il terzo scudetto. In quel San Paolo che trema di passione.

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