L’amore viscerale del cantautore bolognese per la città partenopea
Diceva di sentirsi un uomo del sud, ma che la cicogna probabilmente in “quel momento” doveva essere stata cieca.
E infatti Lucio Dalla che era nato a Bologna il 4 marzo del 1943 (celebre titolo di una sua canzone) da madre e padre bolognesi e che nelle sue vene non aveva nemmeno una goccia di sangue meridionale, amava il sud e ancor di più amava Napoli che per lui rappresentava “il mistero della vita dove bene e male si confondono, ma comunque pulsano”. Da figlio adottivo provava comunque a vivere la città da vero napoletano: era socio del Real Yacht Club Canottieri Savoia, sostenitore del Teatro San Carlo e la sera, accompagnato da Peppino di Capri o da Gianni Morandi, lo si incontrava spesso in via Alfonso d’Aragona da “Mimì alla Ferrovia” dove si attardava fino a notte fonda perché amava la compagnia, la buona tavola e soprattutto il babà, anzi, come raccontano i proprietari del ristorante, “guai se non gli mettevamo da parte almeno una fetta”.
“Napoli si fa presto a dire sembra una città, non lo è, è una nazione, una repubblica. Tra Ferrara e la Luna ci può essere il mondo, ma tra Marte e l’Africa c’è Napoli […] Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse anche duecentomila euro me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni” – diceva il cantautore bolognese.
Un amore per Napoli quello di Lucio Dalla che nasce a partire dagli anni dell’infanzia con un’ammirazione smisurata per Totò e per la sua geniale comicità che “non era mistificazione, ma solo espressione dell’arte”, e quando ebbe la fortuna di incontrarlo dal vivo nel vagone di prima classe di un treno che da Bologna andava verso Roma, Dalla ebbe modo di comprendere la sua vera essenza e trovare tutte le “spiegazioni” che voleva su di lui mentre il comico napoletano, imperturbabile, non faceva altro che stare fermo con gli occhi rivolti fuori dal finestrino.
Nei suoi ripetuti soggiorni napoletani Lucio Dalla fu contaminato da ogni sorta di espressione artistica, avendo sempre un occhio di riguardo al vasto patrimonio musicale della città che lo portò a interessarsi ed appassionarsi perfino alla sceneggiata, recandosi spesso in quello che era considerato il suo “tempio”: il Teatro Duemila (si chiamava così non per velleità futuristiche, ma perché aveva duemila posti a sedere), che si trovava vicino alla caserma dell’Arenaccia, ma che poi chiuse nel 1984 per colpa di un incendio.
La voglia di cimentarsi nella canzone classica napoletana, che per Dalla racchiude tutta l’estetica e la bellezza del mondo, risale già ai tempi di “Banana Republic”, il memorabile tour tenuto in coppia con un altro importante cantautore italiano: Francesco De Gregori. Ad ogni tappa, prima di chiudere il concerto con la celebre “Ma come fanno i marinai”, Lucio Dalla si esibiva in un breve accenno di “Addio a Napoli”, uno dei cavalli di battaglia del tenore Enrico Caruso.
Nel corso della sua carriera Dalla non ha avuto mai remore nell’incidere e cantare canzoni del repertorio classico partenopeo, come “Anima e core” o “Era de maggio” – quest’ultimo, a suo giudizio, un testo universale che non aveva alcuna ambizione poetica e che proprio per questo era poesia allo stato puro – che nelle sue versioni aveva voluto arricchire con un tocco di contemporaneità perché queste canzoni non fossero considerate “solo come testimonianza della memoria, ma anche come valore contemporaneo da ascoltare mentre si fa l’amore, mentre ci si guarda negli occhi o si fa un viaggio. Gli autori di queste canzoni erano persone comuni, niente di che sul piano antologico: questa è la dimostrazione che l’arte e la creatività sono totalmente diffuse nei napoletani e non solo in pochi geni”.
Ma gli omaggi del cantautore bolognese a Napoli non finiscono qui: nel 1996 esce “Canzone”, scritta a quattro mani con un giovane Samuele Bersani, e il video alterna scene di musicisti di strada che suonano sui gradini di una chiesa a immagini di persone che girano per strada tenendo in mano un piccolo schermo da dove fa capolino Lucio Dalla. Location esclusiva e unica non può essere che la città partenopea.
L’ultima dichiarazione d’amore di Lucio Dalla per Napoli è “Fiuto”, contenuto nell’album “Angeli nel Cielo” del 2009 e interpretato con Toni Servillo, un tributo che il cantautore sentiva di dare a una città e ai suoi cittadini che “sono le prime vittime, anche di una non-educazione, di un processo mai fatto dove anche le novità tecnologiche sono sempre meno forti dell’animus napoletano”, una sorta di denuncia nei confronti di quei governanti che hanno cercato di distruggerla, ma che, al tempo stesso, è anche un inno nei confronti di una terra dove ha espresso più volte il desiderio di voler rinascere in una prossima vita per “essere così un napoletano autentico, non importato”.