Napoli. La chiesa di Santa Maria delle Grazie a Toledo

Un tesoro nascosto lungo la via dello “struscio”

Passeggianno pe’ Tuledo (cit. Carosone), tra negozi, palazzi nobiliari e fermate della metro che trovi? Una chiesa. L’ennesima. Una che è sempre stata lì ma nascosta dietro inferriate ed impalcature, fagocitata dai rumori dello “struscio” e perennemente chiusa come occhi addormentati.

È la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Toledo. Gli occhi, oggi, si sono riaperti perché ferro non ce ne è più, e, al suo posto, di nuovo si rivedono  marmi bianchi in liscio bugnato e timpano in perfetto stile neoclassico.

Santa Maria delle Grazie a Toledo è la “Sorella povera” della chiesa di San Nicola alla Carità che tutti conoscono, invece, per il suo straordinario apparato decorativo barocco ed il presepe artistico che racconta tutta la vita di Cristo. 

La chiesa ha origini seicentesche (1628), ma il suo rifacimento si deve al re Ferdinando II che, nel 1835, affidò i lavori all’architetto Carlo Parascandalo. La sua suddivisione in tre navate sembrerebbe di una semplicità eccessiva ma l’apparenza, come sempre, inganna e qui ci sono molti tesori nascosti.

Il suo altare, collocato sotto al dipinto della Madonna delle Grazie, è stato realizzato dallo scultore e figuraro napoletano Giuseppe Sanmartino che tutti conoscono invece solo per il Cristo Velato della famosa Cappella Sansevero. L’altare marmoreo presenta quattro sculture con i quattro simboli degli evangelisti (il toro di San Luca, l’angelo di San Matteo, l’aquila di San Giovanni ed il leone di San Marco) ed è protetto ai lati da Fede e Carità, due grandi sculture – guardiano di Tito Angelini.

La tenue luce azzurra che, attualmente, illumina l’altare, pare faccia risaltare ancor di più i tanti scarabattoli di sette e ottocento collocati lungo la navata centrale e le cappelle laterali. Due meravigliose statue di Madonne illuminate da candelabri in teche dorate: una bianca con lungo velo azzurro luminosa e dolcissima con corona e bambino in braccio, l’altra nera, addolorata e dolente, con sette spade trafitte nel cuore. Queste teche, presenti nei luoghi sacri, sono particolarmente diffuse sia a Napoli che in Sicilia tra XVIII e XIX secolo.

Ancor più antico, è, nella prima cappella a destra,  lo scarabattolo seicentesco di legno con un Cristo alla colonna, collocato di profilo e pronto alla crocifissione, di rara bellezza. 

E poi ci sono i quadri. Anche questa chiesa è una piccola pinacoteca. Peccato il grave stato di conservazione ma, degni di nota, sono il San Gennaro in gloria di Tommaso De Vivo (nel 1838 illustre membro della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon) o l’apparizione della Madonna a San Ferdinando di Castiglia del pittore napoletano Angelo Ruo famoso, oltre per soggetti religiosi, anche per i suoi ritratti come quello del compositore Gaetano Donizetti nel Conservatorio di San Pietro a Majella. Gli altri due dipinti, difficilmente visibili e collocati nella navata sinistra della chiesa, sono San Gaetano a cui appare la Vergine di Camillo Guerra e l’angelo custode di Gennaro Maldarelli.

Il re Ferdinando affidò questa chiesa alla Reale Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori dei Nobili di Santo Spirito di Palazzo (di cui era membro) come risulta da una iscrizione all’ingresso. La congrega “…al Servizio di Dio e che mira alla salute delle anime” ha, ancora oggi, una sede nel cimitero di Napoli dove vengono seppelliti i confratelli e nobili napoletani.

Passeggiamo dunque pe’ Tuledo. Non solo via dello “struscio”, ma di tanti tesori nascosti.

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