
Nella chiesa dedicata al Patrono di Sorrento e al Santissimo Salvatore, la storia di uno dei centri spirituali più importanti della Campania
A vederla oggi, a quella Chiesa arroccata nel centro storico di Campagna non le si darebbero tutti gli anni che ha e nemmeno si immaginerebbe l’importanza capitale che ha rivestito per la spiritualità in Campania. Eppure la chiesa di Sant’Antonino e del Santissimo Salvatore a Zappino è uno dei templi cristiani più importanti e suggestivi della provincia di Salerno. La sua storia, ancorata al XII secolo e che da molti viene fatta risalire addirittura prima metà del VI secolo, è intessuta a quella dell’eterna lotta fra il Bene e il Male, si intreccia a quella di centinaia di esorcismi che, dal ‘600 in poi, si celebrarono qui.
La chiesa, nel corso dei secoli, ha subito gravi danni e ricostruzioni (tra cui i pesanti bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale) che, mano a mano, le hanno donato un aspetto dimesso, più “contemporaneo”, forse meno maestoso e suggestivo di quanto ci si aspetterebbe dal luogo tra i più “misteriosi” a sud di Salerno. La fondazione del culto a Zappino (oggi nel cuore del centro storico di Campagna, a brevissima distanza da un altro luogo spirituale significativo come la Basilica) viene fatta risalire alle invasioni longobarde. Per sfuggire alla furia dei barbari venuti dalla Scania, i contadini lasciarono le pianure e si rifugiarono nel borgo, in una gola di difficile accesso. Una volta che l’insediamento si fu consolidato e che la buriana passò, i nuovi abitanti iniziarono ad organizzarsi e, così, posero le basi per la costruzione (anche) della chiesa che fu prima dedicata a San Girolamo, quindi nel ‘500 al Santissimo Salvatore e, qualche tempo dopo, fu cointestata a Sant’Antonino.
Protettore di Sorrento, la storia del santo esorcista che fu amico leale del vescovo Catello (oggi santo patrono di Castellammare di Stabia e veneratissimo, negli anni, da marinai e operai navali) inizia proprio a Campagna dove nacque da un’agiata famiglia della zona. A quindici anni, orfano di padre e di madre, fu accolto a Montecassino da dove fu inviato, tempo dopo, a dirigere la comunità dei frati a Brindisi. Arrivarono però i longobardi a sconvolgere tutto. Così ripiegò su Castellammare dove visse, per alcuni anni, ospite di San Catello (non a caso, il “santo dei forestieri”) col quale condivise l’esperienza dell’eremitaggio sul monte Faito.
Numerosi sono i miracoli che di lui si raccontano, di quando era in vita. La devozione popolare lo avvolse praticamente da subito, fu innalzato agli onori degli altari e dichiarato santo subito dopo la morte.
Ma fu nel XVI secolo che la sua potenza taumaturgica fece della sua città natale un centro importante (ancora oggi) per la spiritualità campana e lucana.
Tutto ruota attorno alla colonna degli ossessi che, ancora oggi, è sistemata tra la navata sinistra e l’altare, seminascosta agli occhi del fedele. Dotata di corde, queste servivano a legare i posseduti per evitare che facessero del male a sé o agli altri durante i riti. Fu donata alla Chiesa dai frati della vicina abbazia di Santa Maria La Nova nel 1258. A loro volta, i frati l’avevano ricevuta in omaggio dai confratelli di Montecassino.
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Sono decine e decine le liberazioni che si devono all’intercessione del Santo Esorcista. I resoconti dei riti, da parte degli ecclesiastici (tra cui ci fu anche monsignor Palatucci, che visse e operò nella città della valle del fiume Sele) sono numerosissimi, costituiscono un’autentica letteratura utilizzata e studiata, per altro, da antropologi e scienziati per tentare di descrivere il mistero di Campagna e dell’esorcismo.
I racconti di fenomeni inspiegabili sono tanti e tali da superare la finzione cinematografica. Non sono insoliti, qui, i resoconti che parlano di levitazioni, di esibizioni di forza fuori dal comune, di glossolalia così come di prove di astuzia diabolica, tentativi di profezie, apparizioni e guarigioni. Ma in tutti è la presenza del Santo, percepita in differenti modi dagli stessi ossessi, a essere tangibile. C’è chi racconta di averlo sognato e d’essersi liberato così, qualcun altro, invece, giura che gli sia apparso mentre, legato alla colonna, lottava contro i suoi stessi demoni.
La peculiarità dell’esorcismo a Campagna, almeno come storicamente attestato, sta nel fatto che, una volta legati alla colonna, gli ossessi venivano lasciati lì. Spesso da soli, in chiesa. A volte, per tutta la notte. Era il Santo e non solo il sacerdote, a intervenire per intercessione di Cristo alla liberazione dell’ossesso. Un rito che pare rispecchiare antichissime devozioni che risalgono (almeno) ai greci. Il restare soli, a passare un’intera notte al cospetto della divinità, a contatto con essa, per ottenerne grazie fu pratica conosciuta alle più risalenti civiltà mediterranee, attestata (anche) nei riti eleusini.
I documenti che attestano guarigioni spirituali, la celebrazione di riti e di preghiere di liberazione spaziano in un’arco di tempo che va dalla prima metà del Seicento fino al Dopoguerra. Ciò però non vuol dire che a Campagna non si celebrino più esorcismi, tutt’altro. Il culto, anche a protezione della riservatezza delle famiglie che fanno ricorso all’assistenza spirituale dei sacerdoti esorcisti che qui operano, s’è spostato a Santa Maria la Nova.