Da Federico II alla prima guerra mondiale, la storia di un culto antico a Capaccio
La furia dei saraceni, la rabbia di Federico II, gli incendi, la prima guerra mondiale, poi la seconda; nulla l’ha domata, niente ha fermato la devozione popolare. La Madonna del Granato, arroccata sul promontorio del monte Calpazio, guarda ancora dall’alto dell’antica Caputaquis tutta la Piana del Sele.
La lunghissima storia dell’antica basilica inizia alla metà del X secolo dopo Cristo. Gli abitanti di Paestum sono costretti a ripiegare sui monti che fanno da corona alla piana dove vivono da secoli. Le loro terre si stanno imputridendo, quelle fertili zolle si stanno trasformando in paludi e acquitrini. Dal mare, poi, incombe la minaccia dei Saraceni che battono le coste del Tirreno alla ricerca di bottino e di schiavi cristiani da rivendere ai bazar. Non c’è altro da fare che prendere la via dei monti. L’insediamento si sposta, perciò, nell’area interna e gli abitanti decidono di erigere una basilica alla Madre del Melograno.
La statua originale, in legno, è andata perduta a causa di un grave incendio scoppiato nel 1918. L’immagine, però, continua a essere venerata dai fedeli. Raffigura la Madonna che culla il Bambino con il braccio sinistro e tiene nella mano destra una melagrana. Quel frutto non sta lì per caso, assolutamente. L’interpretazione cristiana collega il melagrano a una raffinata metafora religiosa: così come numerosi e dolci sono i semi, così dolci e numerose sono le virtù che Maria può ispirare ai fedeli.
Quella statua, però, fa ritornare alla mente un culto antico e autoctono del territorio pestano, quello che poi i greci identificheranno nel culto di Hera. La dea sorella e moglie di Zeus, patrona di fecondità, si assommò al culto delle Madri che ebbero infinite sfumature nell’antico territorio campano, tra cui quella delle donne-fiore, venerate proprio al santuario di Hera Argiva a Foce Sele.
La vita del santuario della Madonna del Granato non fu delle più semplici. Come non lo fu nemmeno quella della Basilica Paleocristiana di Paestum della quale si trovò a dover raccogliere l’eredità. Quello che non fecero i Saraceni, infatti, compì Federico II nel 1246. Capaccio, in quell’epoca, si trovò schierata dalla parte dei baroni ispirati da papa Innocenzo VII che avevano tentato di disarcionare dal trono lo Stupor Mundi, organizzando l’uccisione sua e del figlio Enzo. Si riunirono proprio al castello di Capaccio, attorno ad Antonello Sanseverino, cercarono di approfittare dell’assenza grossetana dell’Imperatore per tentare la rivolta. Mal gliene incolse, uno dei congiurati ritrovò il senno e spifferò tutto. La reazione di Federico II fu tremenda: i rivoltosi, presi dopo tre mesi d’assedio, subirono mutilazioni fisiche a imperitura memoria del loro tradimento, le loro donne finirono al mercato degli schiavi e il paese fu completamente distrutto.
La ricostruzione, lenta e faticosa, avvenne dove oggi c’è Capaccio capoluogo, più giù rispetto all’insediamento originario. La basilica inizialmente dedicata a Santa Maria Maggiore di Calpazio, andò, lentamente, verso un destino di decadenza.
Fu all’inizio del ‘700 e dopo che nel 1630 si cominciò a individuare quella come la Madonna del Granato), che il santuario venne sottoposto a un importante restauro. Negli anni, pur se orba di ricchezze e di ori, quell’icona era rimasta onoratissima dai pestani, specialmente dai contadini del posto. La statua, conservata in un’abside velata al lato destro dell’altare, finì distrutta il 22 gennaio del 1918 quando un tremendo incendio devastò il santuario e quell’antica icona. Quell’episodio sconvolse la popolazione, già in ansia per le sorti dei giovani capaccesi finiti tra le Alpi, armi in pugno, a combattere la prima guerra mondiale.
Molti avevano fatto voti alla Madonna del Granato, proprio per quei ragazzi. Maria esaudì quelle preghiere. E ancora oggi, a pochi metri dall’ingresso del Santuario, c’è un cippo che risale al maggio del 1919, quando i fratelli Raffaele e Vincenzo Taddeo posero “ a maggior gloria di Maria Santissima del Granato, regina di grazia, faro luminoso della vita, ritornando incolumi i lor sette figli dai campi di battaglia”.
Nel 1991 fu portato a termine l’ultimo restauro e nel marzo di quello stesso anno fu riaperta al culto. Il santuario ospita anche l’eremo dei padri carmelitani. Al posto dell’antica statua, una copia perfetta. Così perfetta da conservare l’imperfezione nel Bambinello: a causa di un furto sacrilego negli anni ’70, fu utilizzata la testa di un angelo per farne il viso di Gesù Bambino.