Esponenti di un mondo antico di stampo rurale, devono la loro fama al Regno di Napoli
La figura dello zampognaro si perde nella notte dei tempi: fin dalle epoche più antiche questo pastore, che lavorava spesso di notte, al freddo e lontano dalla famiglia, si recava a piedi in città, dal suo paese di montagna e, con addosso una giacca di montone, un mantello nero, un cappello di velluto decorato con nastri e le “zaricchie” ai piedi, andava in giro per le strade durante il periodo della Novena dell’Immacolata Concezione (29 novembre-7 dicembre) e della Novena del Natale (16-24 dicembre), intonando melodie con la sua zampogna in cambio di offerte in denaro, oppure stipulava accordi con le famiglie che allestivano i presepi per suonare ogni sera davanti alla rappresentazione della Natività.
La zampogna è uno strumento simile alla cornamusa, formato da un otre che, come un serbatoio d’aria, si gonfia per consentire al musicista di riprendere fiato senza interrompere il suono. Al giorno d’oggi si trova solo in pochi e piccoli paesi dell’Italia centro-meridionale. Il più rappresentativo è Scapoli, un paesino collinare in provincia di Isernia, in Molise, dove sopravvivono gli “ultimi artigiani”.
Ritenuta una “mutazione” del flauto di Pan, le prime notizie sulla zampogna risalgono al periodo della Roma Imperiale, dove l’imperatore Nerone, amante delle arti e della musica, si dilettava spesso con l’utriculus, l’antesignano della zampogna.
Esiste, inoltre, una sorta di legame tra la zampogna e un certo misticismo religioso che si può riscontrare in due leggende: una in cui si racconta di come Giulio Cesare, impegnato nella campagna di conquista della Britannia, riuscì a sconfiggere il nemico grazie al suono di questo strumento; l’altra, invece, appartiene alla terra di Boemia e narra la storia del giovane Zvamba che, dopo aver ceduto alle lusinghe del demonio, come gesto di pentimento depone su un altare la sua zampogna per chiedere scusa a Dio.
Gli zampognari si affermarono soprattutto a metà del Settecento nel Regno di Napoli, come accompagnamento musicale per le preghiere di Alfonso Maria de’ Liguori, l’avvocato-prelato autore di “Quanno nascette Ninno”, il quale, per insegnare ai lazzari i fondamenti del Cristianesimo, li raggruppava in piccoli cori.
Lo zampognaro divenne quindi un vero e proprio mestiere che si tramandava da padre in figlio: imparare a suonare la zampogna, infatti, faceva sì che, una volta raggiunta l’età prestabilita, il ragazzo poteva seguire le orme del genitore.
Col passare degli anni gli zampognari sono diventate figure sempre più “familiari” del Natale, come testimonia il fatto che, già da tempo, siano “personaggi fissi” all’interno del presepe napoletano. Collocati quasi sempre in prossimità della grotta, con il loro abbigliamento da pastori e il suono della zampogna, ricordano, a tutti i credenti, il vero senso di questo periodo dell’anno: celebrare, con umiltà e genuinità, la nascita del Salvatore.