Lo storico complesso architettonico è custode dell’antica tradizione musicale partenopea
Il Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella si può definire il “degno erede” di quattro istituzioni, sorte tra il XVI e il XVII secolo, e fortemente rappresentative dell’età moderna di Napoli: i conservatori di Santa Maria di Loreto, Sant’Onofrio a Capuana, Santa Maria della Pietà dei Turchini e i Poveri di Gesù Cristo.
Il conservatorio di Santa Maria di Loreto, che sorgeva dove si trova attualmente l’Ospedale Loreto Mare, nacque dalla volontà di un artigiano di prendere sotto la sua ala protettiva alcuni orfani della città e insegnare loro un mestiere che desse la possibilità di poter vivere autonomamente. Questo era, in realtà, l’obiettivo fondamentale di tutti i conservatori dell’epoca, ovvero “conservare” la vita e proteggere l’infanzia e la dignità dei bambini abbandonati.
Sant’Onofrio a Capuana nasce alla fine del 1500, per iniziativa di alcuni mercanti di stoffe, ed è importante perché, in epoche differenti, fu diretto da Alessandro Scarlatti e Francesco Durante.
Il conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini viene denominato in questo modo per via delle vesti turchine degli orfanelli. La sua particolarità stava nel fatto che si trattava di un complesso composto da un orfanotrofio, un conservatorio musicale e una chiesa. Qui studiarono musicisti molto importanti, del calibro di Francesco Durante, Giovan Battista Pergolesi e Alessandro Scarlatti.
I Poveri di Gesù Cristo si sciolse molto prima rispetto agli altri conservatori per via di episodi di cronaca nera – come l’omicidio di uno studente – nei quali, si dice, fosse coinvolto anche il Rettore. I ragazzi furono quindi ripartiti negli altri tre conservatori.
Il ruolo iniziale dei conservatori era quindi quello di carità e beneficenza; solo successivamente si trasformarono in vere e proprie scuole musicali. I conservatori avevano in tutto trecento allievi, napoletani e non. Potevano farne parte i ragazzi dai dieci ai quattordici anni, a patto che sapessero leggere e scrivere e superare una prova che consisteva in piano, partizione, italiano, aritmetica, violino e violoncello. La retta era di nove ducati al mese; chi non poteva parmetterselo, aveva comunque alloggio e vitto gratuiti.
Nel 1797 il conservatorio di Santa Maria di Loreto si unì a quello di Sant’Onofrio a Capuana; a cavallo tra il 1806 e il 1807 il conservatorio di Santa Maria di Loreto si unì poi a quello di Santa Maria della Pietà dei Turchini e la sede si trasferì nell’ex monastero di San Sebastiano. In seguito, con l’arrivo dei Padri Gesuiti, la sede di spostò nel convento dei Padri Celestini, ovvero la sede attuale, nel 1826, anno che decretò la nascita definitiva del Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella.
Da un punto di vista architettonico, il complesso è caratterizzato da un primo chiostro, definito di “rappresentanza”, dove è collocata una statua, opera di Francesco Jerace, che rappresenta Ludwing Van Beethoven colto in un momento contemplativo. Da qui si accede alla Sala Scarlatti, la sede prestigiosa per tutti i concerti, e alla Sala Muti, nella quale si può visitare una mostra interamente dedicata a Giovanni Paisiello, uno dei più importanti e influenti compositori d’opera del XVIII secolo.
Dal secondo chiostro, invece, si entra nella Sala Martucci, probabilmente l’ex refettorio del convento, caratterizzata dal magnifico affresco sul soffitto di Giuseppe Aprea che raffigura l’Allegoria della Musica.
Al primo piano è collocato il “cuore” del conservatorio: l’Archivio Storico, che contiene documenti autografi e varie testimonianze, nonché gli archivi personali dei vari musicisti che qui vi sono succeduti. Sempre al primo piano vi è un Museo che custodisce quadri importanti e strumenti antichi, alcuni piuttosto rari come l’arpetta dello Stradivari, della quale esistono solo tre esemplari al mondo.
Al piano nobile è presente la Biblioteca che, grazie al decreto del 1795 di Ferdinando IV di Borbone, custodisce le copie di ogni spartito di opera o commedia che si rappresentavano a teatro. Tra i bibliotecari più famosi che si succedettero nel corso degli anni possiamo ricordare il calabrese Francesco Florimo, grande amico di Vincenzo Bellini, e Rocco Pagliara, che conferì alla biblioteca una sfumatura pubblica e storica.