“Dal buio alla luce” al Palazzo Reale di Quisisana, titolo suggestivo e carico di significato per la mostra archeologica accolta con grande favore di pubblico e definita dal Soprintendente Massimo Osanna “semplice ma di grande effetto: perché a parlare è lo spessore dei reperti stessi”, è stata prorogata al 31 dicembre 2016.
La mostra non racconta solo una storia. Non racconta solo, come ci si aspetterebbe, la vicenda archeologica del sito e dei reperti, ma è anche la denuncia della mancata realizzazione di un museo in Città. Racconta la fruibilità negata al territorio e all’umanità del suo patrimonio culturale per la “reclusione” dei reperti all’interno del vecchio Antiquarium ormai chiuso da 17 anni. E racconta anche una clamorosa esclusione: il mancato inserimento di Stabiae come sito Unesco, nell’ambito del sito seriale Pompei, Ercolano, Oplonti.
L’Antiquarium stabiano è stato aperto per volere del preside Libero d’Orsi, artefice della ripresa delle esplorazioni archeologiche sulla collina di Varano nel 1950, ed è stato chiuso nel 1997 a causa di lavori strutturali che dovevano interessare le sale del piccolo museo. Ma quel contenitore museale doveva essere solo temporaneo, già lo era nelle intenzioni del suo istitutore.
Da allora numerosi sono stati i progetti per il nuovo museo. La Villa Gabola negli anni’80, poi la Reggia di Quisisana restaurata con 16 milioni di euro di fondi CIPE e che avrebbe dovuto ospitare una scuola di restauro. Nel 2007 ulteriori risorse sono state assegnate dalla Regione Campania per realizzare il Museo Archeologico Stabiano a Quisisana.
Successivamente, nel 2010 è stato approvato il “Piano di utilizzo e gestione del Palazzo Reale di Quisisana” con una convenzione tra Mibact, Regione Campania, Provincia di Napoli, Città di Castellammare di Stabia, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il piano fu approvato dal consiglio comunale e oggetto di una delibera di approvazione da parte della Giunta della Campania nel marzo 2010. Ma da allora non c’è stato alcun esito per il museo.
Senza voler cercare il capro espiatorio ad ogni costo, il passato è passato, nonostante è di archeologia che si parli, ad oggi gli 8000 reperti di Stabiae, non hanno ancora una collocazione, stipati nelle sale dell’Antiquarium che da museo è divenuto un mero deposito.
Non è per un vezzo degli addetti ai lavori o degli appassionati di archeologia che si sente, forte, l’esigenza di una degna struttura museale per Stabiae. È innanzitutto una questione di tutela e conservazione di uno straordinario patrimonio di arte antica, che consta di un numero notevole di affreschi, nucleo centrale della raccolta, dalla qualità e dal pregio senza eguali. Ed è questo il senso e lo scopo di sensibilizzazione della mostra “Dal buio alla luce”.
Su questa convinzione si sono tenacemente mossi la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Pompei Ercolano Stabia e il Comune di Castellammare, che ha trovato nella persona del Soprintendente Massimo Osanna “una grande volontà alla corretta valorizzazione del sito stabiano”, come egli stesso ha affermato durante la cerimonia d’inaugurazione tenutasi presso la Reggia di Quisisana il 13 giugno 2014.
Il Soprintendente ha parlato dei suoi due obiettivi fondamentali: rendere fruibili le ville romane, in particolare per quanto riguarda gli accessi e lavorare affinché la Reggia di Quisisana diventi un polo museale e incubatore culturale a più livelli, realizzando anche una “Summer School internazionale” di archeologia e restauro, con lo scopo di rilanciare la città di Castellammare dalle altissime potenzialità culturali.
Obiettivi condivisi dal primo cittadino Nicola Cuomo e da Olimpia De Simone che ha curato insieme allo staff e agli Uffici Comunali e della Soprintendenza, la realizzazione della mostra e che ha interrogato Adele Lagi, presente al tavolo dei relatori, sul significato dell’altra grande battaglia per il sito stabiano: l’inserimento nella lista Unesco, insieme con Boscoreale.
La Lagi, referente dell’Ufficio Unesco del Segretariato Generale, si sta occupando della candidatura di Stabiae a sito Unesco. “Inserire un bene nella lista Unesco significa preservarlo per le future generazioni”, dice mentre spiega che la volontà era nata dopo il crollo della Schola armaturarum a Pompei quando si è capito che la zona tutelata dall’Unesco doveva comprendere tutti i siti vesuviani (non solo Pompei, Ercolano e Oplontis), che sono, anche nell’immaginario collettivo, un’unica realtà. Quindi, dalla reggia di Portici a Castellammare è la striscia di terra proposta come bene da tutelare per l’umanità futura.
La mostra, primo passo nel cammino della città verso un sistema turistico sostenibile, è stata illustrata dalla responsabile della zona di Stabia, Giovanna Bonifacio, che ha spiegato come, in breve tempo, soprattutto per merito della grande volontà dello staff dei restauratori (Antonino Fattorusso, Luigi Giordano, Teresa Squillante, Pasquale Esposito), si sia realizzata questa piccola ma significativa esposizione di reperti stabiani.
Trentotto i reperti totali da ammirare in 7 sale, tutti di epoca romana corredati da pannelli esplicativi di chiara lettura: 13 i pezzi di instrumentum domesticum da Carmiano, la statua del pastore e il labrum dalla Villa omonima, il cratere dalla Villa San Marco, 4 affreschi e instrumentum domesticum da Villa Arianna, ma il fiore all’occhiello, per la prima volta al pubblico, è il carro rinvenuto nel 1981 in villa Arianna e ricostruito per intero su sagome di acrilico trasparenti.
In periodi difficili come questo, una mostra non vuole e non deve essere una perdita di tempo rispetto alle altre emergenze della città. Dimostrare al pubblico l’importanza del patrimonio culturale stabiano può forse suggerire che è arrivato il tempo di agire, sfruttando quello che si ha a pronta disposizione. Un patrimonio di importanza e valore mondiale.