Venne abbandonato nella ruota degli esposti della Chiesa dell’Annunziata di Napoli, Vincenzo Gemito, artista affermatosi tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. I suoi inizi, oltre all’abbandono, sono segnati dalla povertà, quella stessa che spinse la sua famiglia a lasciarlo e che ha creato un solco, un filo conduttore nella sua vita e di riflesso nelle sue opere. Da questa inquietudine nasce “Il Genio dell’abbandono”, ultimo romanzo di Wanda Marasco, scrittrice napoletana arrivata tra i primi cinque finalisti del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza, in cui è stata scelta tra quasi duemila testi arrivati al concorso. Un testo che nasce da un lungo lavoro di ricerca, durato più di tre anni tra i luoghi dell’infanzia dello scultore napoletano, i laboratori artistici, i documenti fotografici da cui sono nati gli autoritratti negli anni della malattia mentale.
L’interesse per il genio folle nasce nell’autrice Marasco grazie ad una condivisione di luoghi di vita, la salita del Moiariello di Napoli, la zona dei Ponti Rossi dove Gemito visse il periodo di ricovero. Un interesse che già veniva delineato nell’ultima sezione del precedente romanzo “L’arciere d’infanzia” in cui si annunciava la volontà di indagare sull’intensa vita di Vincenzo Gemito. A distanza di alcuni anni dal termine della stesura arriva il meritato premio per la Marasco e la pubblicazione da parte della casa editrice Neri Pozza.
Il 29 gennaio 2015 è la data prevista per l’uscita in libreria dell’opera di ricerca biografica che si inserisce in un momento di rinnovato interesse per Gemito. È infatti recente l’acquisizione da parte del Museo di Capodimonte della collezione Minozzi esposta fino al 16 luglio 2015 e a Roma nell’ambito della mostra Artisti dell’Ottocento: temi e riscoperte c’è un focus sulle opere scultoree e grafiche di Gemito (fino al giorno 1 marzo 2015).
Wanda Marasco corregge degli errori nell’opera di Salvatore Di Giacomo dedicata a Gemito, come alcuni caratteri fisici che gli erano stati attribuiti ma che non possedeva e soprassiede sull’interesse omosessuale che secondo alcuni avrebbe dichiarato attraverso i temi delle sue opere. Quei fanciulli nudi ripresi in tante pose, sarebbero una prova di una certa tensione omoerotica che l’autrice-ricercatrice non ha riscontrato e pertanto non rilevato. Wanda Marasco racconta invece della capacità di amare che possedeva Gemito, sposato per ben due volte, amò follemente la modella Mathilde Duffauld, ebbe amanti a Parigi da cui contrasse la sifilide e come ben fa notare la scrittrice “in un artista l’innamoramento per il corpo non si ferma all’erotismo ma tende alla ricerca del ‘bello’, di quell’ideale scultoreo che affonda le radici in epoca classica”.
Wanda Marasco è approdata al meraviglioso mondo della scrittura, provenendo dal teatro e dalla regia, passando attraverso la poesia. Poesia, teatro e narrativa hanno trovato in lei una congiuntura che le ha permesso di raccontare “l’uomo Gemito” capendone il senso di abbandono che lo ha guidato. La scrittrice lo definisce “un uomo del sud del mondo che lotta come un disperato e cerca i suoi maestri nei vicoli di Napoli”. Un artista che lascia oggettivamente il segno già solo con la forza delle sue opere e che viene tracciata nelle pagine de “Il Genio dell’abbandono”.