Se è vero che Napoli è una città che non riesce a staccarsi da un passato – per certi versi ingombrante – con il quale non solo convive, ma che reinventa e trasforma in tutte le sue espressioni, allora è vero che anche la sua vasta tradizione dolciaria non può esimersi da questo processo.
La maggior parte dei dolci che ancora oggi troviamo sulle nostre tavole sono, come intuibile, di derivazione greco-romana e quasi sempre associabili ai culti pagani legati alla rinascita. Gli “strugolos”, ad esempio, sono i dolci più antichi: fatti con farina, acqua di mare e miele si possono considerare gli antenati degli “struffoli”, tipici dolci del periodo di Natale; la sfogliatella, invece, è strettamente legata al culto della fertilità: le sacerdotesse devote a Priapro (dio greco della fertilità il cui simbolo è un grande fallo eretto) o a Demetra (la dea madre per eccellenza), festeggiavano la perdita della loro verginità offrendo alle divinità dei panetti triangolari che ricordavano l’organo riproduttivo femminile; per festeggiare l’arrivo della primavera si preparavano dei dolcetti, associati ai misteri di Demetra, fatti di sesamo e miele (gli antichi “susamielli”) oppure si offrivano alla dea Cerere dei panetti farciti con grano e ricotta, ingredienti che troviamo ancora oggi nella ricetta della pastiera.
L’aspetto singolare di questi dolci di stampo pagano è che hanno trovato, nel corso dei secoli, terreno fertile nelle cucine dei monasteri ad opera delle abili e sapienti mani delle monache di clausura. Questo perché per le monache poteva essere prima di tutto un pretesto per uscire ogni tanto dalla loro reclusione, quasi mai volontaria e poi perché, con la creazione di un dolce, potevano sublimare la loro femminilità e la loro capacità di essere fertili e quindi madri.
Da questo aspetto interessante nasce l’idea del tour di Curiocity – l’associazione culturale che organizza passeggiate guidate per le strade e i monumenti della città di Napoli tramite un turismo attivo sul territorio e una ricerca costante di percorsi innovativi e divertenti – attraverso i “sentieri sacri del gusto”, toccando luoghi importanti non solo della cristianità, ma anche di alta produzione dolciaria.
Dopo una golosa degustazione al Caffè San Lorenzo, la visita inizia presso il primo luogo “deputato”, la Chiesa di Santa Maria Regina Coeli: qui le monache agostiniane erano impegnate nella produzione della “sfogliatona” di pasta frolla (che oggi si può mangiare da Pintauro a via Roma); si prosegue poi per la chiesta di San Gaudioso (abbattuta nel periodo fascista per far spazio alla costruzione del Policlinico), Santa Maria delle Grazie e Sant’Aniello a Caponapoli. Si arriva poi a Santa Maria della Sapienza, dove le suore producevano tre tipi di “susamielli” per tre differenti classi sociali: farina grezza e integrale con scorze d’arancio per gli zampognari, farciti con marmellata per i preti e con pasta di mandorle per i nobili. A San Pietro a Majella, invece, durante i “maritaggi”, che erano dei rituali in cui le ragazze del conservatorio, dopo essere state accuratamente visitate dalle “mammane” che ne garantivano la verginità sfilavano davanti a un gruppo di uomini per poter andare in sposa ed evitare di essere rinchiuse nel serraglio, si producevano i “celestini” fatti di pasta di mandorla, zucchero ciliegie candite e confettini e ricoperti poi di glassa. Il giro si conclude con la visita all’incantevole chiostro di San Gregorio Armeno, dove si produceva un dolce che purtroppo non si trova più, ovvero la torta di rose, fatta con ricotta, petali di rose, menta, farina e zucchero. Una volta pronta, si serviva a fette ancora calda e si farciva con panna o con cognac.