Quando si parla dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., spesso ci si dimentica che le modalità di distruzione delle città furono diverse.
Pompei ed Ercolano, seppur unite dallo stesso destino insieme ad altri centri, furono sepolte e distrutte differentemente. Ad Ercolano, gli effetti devastanti e la dinamica eruttiva del Vesuvio sono stati ricostruiti in anni recenti grazie allo studio multidisciplinare di diversi specialisti tra cui archeologi, antropologi, vulcanologi.
L’ultima indagine, condotta da un team di antropologi guidati da Pier Paolo Petrone dell’Università Federico II, svela interessanti particolari circa gli effetti del calore sui corpi delle vittime.
L’analisi si è concentrata sui resti degli scheletri di oltre 300 ercolanesi ritrovati nell’area della spiaggia, e lì colti dalla furia del vulcano. Gli studiosi hanno individuato sulle ossa e negli strati di cenere residui minerali ricchi di ossidi di ferro, prodotti che testimoniano la rapida vaporizzazione dei tessuti e dei fluidi corporei dopo la morte.
Il primo surge, nube ardente di cenere e gas a temperature di almeno 500° C, raggiunse Ercolano il 25 agosto, provocando la morte istantanea per shock termico degli abitanti. In circa 20 ore di attività vulcanica furono emessi 10 miliardi di tonnellate di magma e centinaia di milioni di tonnellate di vapore acqueo e gas, ad una velocità di 300 metri al secondo.
Gli straordinari risultati della ricerca, pubblicati sulla prestigiosa rivista PLOS ONE, evidenziano la portata degli effetti termici associati alla deposizione dei flussi piroclastici a distanza considerevole dal vulcano, anche su persone riparate in ambienti chiusi, come nel caso delle vittime ritrovate dentro ai Fornici.
Il direttore del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano, si dice soddisfatto di come l’autonomia gestionale abbia dato nuovi stimoli a studiosi internazionali e non, sempre più attratti da Ercolano e da questo contesto archeologico unico al mondo.