
Un romanzo che scava nel tormento di una città distrutta nell’anima, ma ancora speranzosa
Novanta lunghissimi secondi che sconvolsero la vita di un’intera generazione e non solo. Una scossa di terremoto che causò morti, feriti, sfollati. Vide sgretolarsi interi paesi, borghi, case e palazzi, ma sconvolse per sempre anche la vita dei sopravvissuti che da quel maledetto 23 novembre 1980 dovettero “puntellare” la propria esistenza.
Giuseppe Petrarca nel suo romanzo “La città puntellata”, edito da CentoAutori, descrive con una semplicità disarmante non solo quello che accadeva tra la Campania e la Lucania in quei giorni così concitati fatti di paura, devastazione, sofferenza, ma anche della lunga mano della criminalità organizzata che provava a sfruttare il caos per regolare conti e allungare i propri tentacoli su aiuti e ricostruzione.
Ne viene fuori un racconto che è la testimonianza di una città “in bilico: ogni cosa qui è saltuaria, irregolare, discontinua. Ogni cosa, in questa meravigliosa e terribile Napoli, è precaria. Non potremmo mai essere sicuri di dove appoggiamo i piedi, di dove ci muoviamo; ed è per questo che sopravviveremo anche a quest’altro terremoto” – per utilizzare le parole di donna Luisella Marsili, che fa veloce comparsa nei primi capitoli del libro, in un “santuario laico” della città che era la sede de Il Mattino in via Chiatamone.
Napoli sopravvive “puntellata di tubi innocenti” nelle sue esistenze, quelle di Roberto, Mariangela, Salvatore, Antonio, Enza, Ciro, Francesco. Dietro i nomi dei protagonisti del romanzo c’è un pezzo di storia di ognuno di noi, di chi quei 90 interminabili secondi è stato testimone diretto e di chi li ha vissuti attraverso i racconti, le foto, i servizi giornalistici di quel tempo riproposti periodicamente ad ogni anniversario.
A Petrarca va riconosciuta una abilità straordinaria: di riuscire in queste pagine a trasmettere al lettore tutte le angosce e gli stati d’animo di quel momento. “La città puntellata” che sopravvive, che si affida suo malgrado alla fede, che da queste parti è un misto di devozione, folklore e tradizione: dal sangue non sciolto di San Gennaro, preludio di quel evento nefasto, al profumo dell’incenso sinonimo di speranza che vaga da una parte all’altra della città: dal Vomero alla Basilica del Gesù Nuovo, dalla chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella a Santa Chiara, da San Giovanni a Carbonara all’Irpinia e la Basilicata.