Antica Salerno: dagli elefanti preistorici al culto di Ercole

Dagli elefanti preistorici al culto di Ercole, passando per lo sfarzo delle necropoli orientalizzanti e per i resti di un antichissimo ippopotamo. Fino a giungere all’antichissimo centro di Fratte dove greci, italici ed etruschi si incontravano, commerciavano e si sfottevano tra di loro.

Il Museo Archeologico Provinciale di Salerno si trova a via San Benedetto, praticamente alle spalle di piazza Portanova, alla fine del Corso Vittorio Emanuele. È stato inaugurato il 28 ottobre del 1928 nella sua sede originaria, Palazzo Sant’Agostino dove oggi ci sono gli uffici della Provincia di Salerno. Successivamente, nel 1939, fu trasferito alla Casina dell’Orto Agrario per poi trovare la sua definitiva collocazione nella struttura del convento di San Benedetto, nel 1964.

 L’allestimento è curato su due piani, con reperti (al primo) provenienti da tutta la provincia di Salerno; al secondo, invece, ci sono le testimonianze rinvenute dagli scavi nell’area di Fratte. Infine, a completare la struttura, un lapidario esterno – dove sono in mostra iscrizioni risalenti per lo più al periodo tardo romano – e una sala che ospita le mostre.

Seguendo un criterio temporale, l’esposizione al piano terra ricostruisce la storia del territorio campano. Dalla notte dei Tempi, da quando gli elefanti e gli ippopotami, insieme a antichi asini ormai estinti, calpestavano le terre salernitane. Nella prima teca, infatti, c’è la mandibola di un Elefas Antiquus, parte del femore destro di un Hippopotamus amphibius Linneo e il molare di un Equus hydruntinus. I primi due sono stati scoperti nell’area di Santa Cecilia di Eboli, l’elefante appartiene alla specie di quelli “a zanne dritte”, alti quattro metri, vissuti fino a 30mila anni fa.

 Dagli uomini che si rintanarono nelle caverne, dalla Costiera Amalfitana fin giù nel Cilento e nelle aree di Pertosa e di Polla, nel vallo di Diano, si passa ai resti delle civiltà attestate nella Valle del Sarno, fino alle testimonianze delle culture orientalizzanti di Sala Consilina e della valle del Sele. I corredi funerari restituiscono l’idea della magnificenza degli antichi popoli che colonizzarono il territorio a sud della Campania. Armi, gioielli, vesti; armature, vasellame a complessi motivi ornamentali; l’intera esposizione – dopo aver attraversato i momenti topici dell’archeologia locale, tra cui le scoperte a Roscigno e l’officina Assteas di Pontecagnano – culmina nel periodo romano, nelle testimonianze dell’Opulenta Salernum, che sotto Diocleziano divenne città ricca e importante, anche politicamente.

Al piano superiore, invece, c’è l’esposizione dedicata al sito di Fratte. C’è ancora incertezza sul nome antico dell’insediamento. Fatto sta, però, che il lavoro degli archeologi ha permesso di scoprire come, in quell’importante snodo, finissero per incontrarsi le culture più importanti di tutta l’Italia meridionale. Ci sono testimonianze sannitiche, italiche, etrusche soprattutto. Ma non mancano nemmeno reperti che rimandano alla cultura greca e italiota. Statuine fittili, a motivi animali e votivi, testimoniano la presenza di un importante culto di Ercole e dei buoi. Numerose, poi, le iscrizioni rinvenute in quegli scavi. Tra queste ce n’è una dagli evidenti motivi boccacceschi che tira in mezzo nomi “nazionali” che evocano immediatamente l’appartenenza a popoli e culture differenti.

La scritta, incisa su un’olpetta in alfabeto acheo risalente al V secolo avanti Cristo, recita: “Apollodoro ama Ksylla/ Vulca sodomizza Apollodoro/ Onata ama Nikso/ Ybriso ha amato Parmynio”. 

Costo: 4 euro, 2 euro 18-25 anni, gratis under 18 over 65
Aperto da martedì a domenica 9.00-19.30

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